“Monty Python e il Sacro Graal”: la genialità dei Monty Python

Monty Python e il Sacro Graal” (1975) è il primo film in senso compiuto del gruppo comico inglese dei Monty Python, noto prima di questo film soprattutto per il loro programma televisivo “Monty Python’s Flying Circus“.

Prima di questo film avevano già realizzato un altro film (“E ora qualcosa di completamente diverso“) che, tuttavia, era semplicemente un insieme di gag riunite senza un filo conduttore che le legasse. Quel primo lavoro quindi risultò essere una sorta di flop anche perché persisteva una regia di tipo televisivo, non adatta per il grande schermo.

Il film del 1975, invece, va in tutt’altra direzione. Innanzitutto viene scritta una sceneggiatura molto più solida che possa tenere uniti tutti gli sketch: i Monty Python, infatti, decidono di prendere in giro il ciclo bretone, ovvero il ciclo di racconti legato alle figure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Questo anche in virtù dell’idea stereotipata che c’era in quegli anni del mondo medievale, ancora molto legato al gotico. Il film così è una serie di gag, una più divertente dell’altra, legate alla ricerca del Sacro Graal da parte di una sorta di “armata Brancaleone”.

Monty Python e il Sacro Graal

Fin da subito si era posto il problema della regia per evitare di fare ancora un prodotto marcatamente televisivo. Allora due dei membri del gruppo decisero di prendere in mano la situazione: si tratta di Terry Jones e Terry Gilliam. Non sono mancate divergenze durante le riprese, ma il prodotto alla fine si può dire notevolmente riuscito anche per l’efficacia appunto delle scelte registiche che riescono a dare tutta la spinta possibile alla riuscita degli sketch.

Già in controluce (ma nemmeno troppo) si può vedere la mano di quello che poi sarà la carriera di Gilliam da “solista”: un certo tipo di ripresa vagamente espressionistica e, soprattutto, il tocco fantastico/favolistico che sarò tipico delle sue pellicole.

Il film, poi, è anche un contenitore incredibilmente ricco di numerosi spunti. Innanzitutto le scene proposte sono di una genialità sopraffina; basti a proposito l’esempio della prima scena. Re Artù e i suoi cavalieri non cavalcano cavalli reali (sappiamo che nel mondo del cinema i cavalli sono una delle cose più costose che ci siano), ma trotterellano imitando una cavalcata e dietro hanno un bardo che batte due noci di cocco imita il rumore degli zoccoli sul terreno. I Monty Python, però, fin dalla scena iniziale scompongono il divertente escamotage creando una gag proprio riguardo le noci di cocco (prodotto tropicale introvabile nel Medioevo) che fungono per il rumore degli zoccoli del cavallo.

Non manca poi all’interno anche un pastiché dei generi letterari cinematografici in voga in quegli anni: il film a un certo punto diventa un film horror, poi d’avventura, poi splatter (iconica in questo senso la scena del coniglio assassino) e infine anche film d’animazione.

Qui e in molte altre parti sta la genialità di questo film e del gruppo che lo ha realizzato. Straordinaria, in questo senso, è anche la chiusura: un professore di storia preso dal Novecento a un certo punto tenta di spiegare gli eventi ma viene ucciso da un medievale, la polizia si mette sulle tracce dell’omicidio, e mentre Artù sta per assalire un castello irrompe una pattuglia di poliziotti inglesi che arresta i cavalieri e chiude la telecamera che stava facendo le riprese del film. Semplicemente geniale!

In pochi come i Monty Python hanno saputo unire comicità, originalità compositiva e riflessione metacinematografica.

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