Barry Lyndon (1975) è uno dei capolavori del grande regista Stanley Kubrick. Un kolossal storico di oltre tre ore: un film in costume che incornicia come nessun altro il Settecento.
Kubrick per questo film intendeva fare qualcosa di diverso dopo Arancia Meccanica andando a raccontare tutta la parabola di vita d’un uomo. E lo fece, dopo aver pensato di girare un biopic su Napoleone, adattando il romanzo Le memorie di Barry Lyndon di William Thackeray.
La storia narrata racconta l’interezza della vita di Redmond Barry (Ryan O’Neal), giovane ragazzo di un villaggio irlandese. Redmond s’innamora della cugina, ma subisce una forte delusione amorosa che lo porta a lasciare il suo paese arruolandosi con l’esercito inglese in modo da poter fare carriera e farsi la propria vita. Il carattere del protagonista in questa prima fase del film è formato da modi gentili quanto impetuosi con una scarsa devozione alla causa patriottica e un desiderio di felicità e successo personale.

Le sue gesta e le sue peripezie sono rocambolesche. Dall’esercito inglese passa a quello prussiano, poi si dà al gioco d’azzardo e alla vita di corte, sposando in seguito una nobildonna rimasta vedova e diventando, di fatto, un nobile settecentesco. Il suo dramma, tuttavia, rimane quello di essere in fondo un popolano irlandese e di avere quindi delle origini umili che saranno costantemente la sua spada di Damocle. Passa così il resto della vita tra sfarzi e ozi, cercando disperatamente di ottenere un titolo nobiliare in modo da non ritrovarsi nuovamente povero all’eventuale morte della moglie, lady Lyndon, colei che gli hai dato il cognome nobiliare.
Soltanto che la sua sorte, come Kubrick ci suggerisce, è segnata dal primo fotogramma. La sua è una vita passata sulle montagne russe; una vita che, però, è un grande cerchio e che quindi è destinata a tornare al punto di partenza.
Kubrick realizza così un capolavoro e quello che probabilmente è la sua migliore pellicola. Un progetto mastodontico che nasconde dietro ogni singola ripresa una ricerca qualitativa di altissimo livello. Una ricostruzione storica accuratissima e meticolosa che ci restituisce un mondo come nessun altro film ha mai fatto. Da lavori di questo tipo si comprende ancora meglio la potenza del mezzo cinematografico che vanta anche la capacità di riportare in vita epoche passate.
Nella passeggiata tra i generi cinematografici che si può fare all’interno della filmografia del regista inglese questo rappresenta la tappa del film in costume. E del film come totale narrazione. Infatti, è uno dei pochi lavori di Kubrick privi di risvolti politici o sociali. Le tematiche legate alla violenza, alla politica o al sesso, tipicamente presenti nei suoi film, qui sono lasciate da parte per assecondare una volontà totalmente diversa.

Barry Lyndon, infatti, coniuga alla perfezione la narrazione in senso stretto con la ricerca visiva più totale. Ogni inquadratura può essere intesa come una sorta di quadro sapientemente creato, pensato e poi catturato. E, in questo senso, dal punto di vista registico Kubrick non ha bisogno di strafare proprio perché il grande lavoro fatto è quello di coordinazione che è avvenuto dietro la macchina da presa. Il regista inglese, così, si limita a utilizzare dei campi molto lunghi sfruttando ripetutamente lo zoom e il grandangolo nell’intenzione di creare, appunto, dei quadri. Una regia ordinata che non fa altro che esaltare il lavoro fatto in precedenza.
La ricostruzione del Settecento, come detto, è magistrale. A partire dai meravigliosi costumi fino alle scenografie sontuose e impeccabili (sia per quanto riguardo gli interni che gli esterni), e a una colonna sonora che cesella perfettamente una sequenza con l’altra scandendo l’andamento emotivo della pellicola. In origine ci sarebbe dovuta essere una colonna sonora originale; poi Kubrick scelse di scartarla e optò per brani classici di Handel e Bach sostenendo che quando si può attingere al meglio sarebbe stupido non farlo. Difficile dargli torto.
Una menzione in particolare, però, per una fotografia di livello assoluto diretta da John Alcott. Una fotografia che riesce a catturare al meglio la selvaggia naturalezza degli spazi esterni e il calore sfarzoso e barocco degli interni settecenteschi. Quest’ultimo aspetto è stato possibile utilizzando per la maggior parte una illuminazione a candela in modo che la restituzione di luci e ombre fosse quanto più vicina a quella dell’epoca. E l’effetto, in questo senso, è sorprendente.
Insomma se si volesse prendere un esempio per dimostrare la potenza espressiva che il cinema è in grado di produrre, Barry Lyndon sarebbe un ottimo esempio. L’unione perfetta tra narrazione e ricerca estetica: un capolavoro da ammirare più e più volte.
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