Godland Palmason
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“Godland”: un viaggio esistenziale nella selvaggia natura islandese

Godland (2022) è un film di Hlynur Palmason. Un film che ha riscosso un grande successo al Festival di Cannes 2022 e che è attualmente nelle sale italiane.

Alla fine del XIX secolo, Lucas (Elliott Crosset Hove), un sacerdote danese, viene mandato in missione nella lontana Islanda per costruire una chiesa e fare foto della popolazione autoctona. Il suo però è un viaggio ricco di imprevisti e di situazioni al limite della sopravvivenza: la sua missione, quindi, diventa lentamente anche un viaggio personale in cui moralità e religione rimangono sempre più in bilico.

Godland è allo stesso modo per lo spettatore come per il sacerdote un viaggio all’interno di un Islanda immersa in una Natura totale e selvaggia. Una natura che, proprio per la sua selvatichezza, è allo stesso tempo affascinante e pericolosa, luogo in cui l’animo umano può smarrirsi e trovarsi nudo e impotente.

In questo senso lentamente la rettitudine morale di Lucas si sgretola e diventa sempre più fragile e pericolante: prima che un messaggero di Dio è un uomo che si trova tra altri uomini burberi e scontrosi che non parlano la sua lingua, ma con cui deve affrontare un viaggio lungo e tortuoso in cui il passo tra vita e morte può essere molto breve.

L’attrazione/scontro di Lucas, ma anche dello spettatore, verso la terra in cui si è trovato viene esemplificata nel suo rapporto con Ragnar (Ingvar Sigudsson), colui che è incaricato di guidare la spedizione. Ragnar è fin dall’inizio sospettoso e scontroso con Lucas: è un uomo che vede con diffidenza e oscurità la materia religiosa e pone fiducia solo nella forza.

Progressivamente quello di Lucas è un viaggio che lo porta alla perdita dei propri valori di sacerdote prima e di uomo poi. Si accorge di essere entrato in una realtà in cui la religione ha ben poco spazio di manovra e dove regna la legge del più forte. Presto si accorge di doversi adeguare a questa legge che, però, è troppo più grande di lui.

La sua perdita di identità non è tanto mostrata nell’aspetto religioso – nonostante il titolo, la religione è solo apparentemente il filo rosso del film – quanto in quello esistenziale in quanto uomo. Un uomo che dentro una Natura troppo ruvida e fagocitante può smarrirsi irreversibilmente.

Godland Palmason

Hlynur Palmason firma così quello che per ora è il suo lavoro migliore. Un film che, prima di tutto, spicca per quello che è il suo impatto visivo. La cinepresa, lungo tutti i 143 minuti di visione, spazia liberamente e scandaglia questa natura selvaggia, la grande vera protagonista del film. E proprio in quanto protagonista il regista danese gli dedica ampio spazio attraverso piani-sequenza prolungati e primi piani puntuali per catturarne tutta la completezza e vividezza.

La scelta di girare la pellicola in quattro terzi si rivela così estremamente vincente. Senza dubbio, quindi, si può dire che il pregio maggiore di questa opera sia nella qualità delle riprese effettuate insieme alle scelte registiche che portano il pubblico completamente dentro un preciso ambiente. In questo senso non si può non ravvisare la somiglianza col cinema documentaristico di Werner Herzog e in particolare con quel viaggio selvaggio dentro la psiche umana che è Aguirre, furore di Dio.

Ma questa natura è protagonista anche per gli effetti che provoca sugli uomini e quindi sui personaggi che ci passano attraverso. Cambiandoli, stravolgendoli e mettendoli nudi gli uni davanti agli altri.

Godland è quindi allo stesso tempo un’esplorazione della purissima terra islandese, ma anche una sfida esistenziale profonda che va a recuperare alcuni degli aspetti più primordiali dell’uomo.

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