“Un Eroe” (2021) è l’ultimo film di Asghar Farhadi ed è un film riuscito come praticamente sempre accade con i lavori del noto regista israeliano. Non a caso ha vinto il premio speciale della giuria alla 74esima edizione del Festival di Cannes.
Rahim è in carcere per non essere in grado di pagare un debito contratto col cognato. Durante un’uscita concessa, trova delle monete d’oro con cui all’inizio vorrebbe pagare parte del debito, ma poi decide di restituirle al legittimo proprietario – anche se in realtà le monete sono state trovate dall’amante, la cui identità Rahim non vuole rivelare per motivi d’onore.
La borsa viene restituita e la storia di Rahim viene resa pubblica e lui diventa una sorta di eroe nazionale. Sull’onda del clamore mediatico il cognato viene percepito come un aguzzino e allora decide di annullare il debito di Rahim che così viene riaccolto nella società.
Gli viene dato un lavoro, ma per ufficializzare il tutto serve il documento dell’avvenuta consegna della borsa con le monete trovate. L’ipotetica proprietaria che ha ripreso le monete, però, è irrintracciabile e allora è impossibile fornire quel documento: Rahim pur di non fare crollare di nuovo tutto addosso a sé, chiede all’amante di fingere di essere la proprietaria, ricadendo in una spirale di menzogne molto pericolosa.

Una trama complessa e articolata scritta come al solito in modo meticoloso e metodico da un fine sceneggiatore come Farhadi. Una trama poi che, come al solito, si innesta sulle tematiche tipiche del regista radicate nella cultura iraniana: quindi l’onore in tutte le sue variazioni (legato alle relazioni famigliare, al denaro, al lavoro e così via). Tutti i suoi personaggi, Rahim compreso, si affannano per trovare il modo di redimere un onore macchiato, ma l’impermeabilità degli ambienti e, spesso, delle persone rende snervanti e labirintici questi tentativi.
In ogni caso l’incredibile forza di Farhadi è sempre la stessa e non invecchia mai: una capacità narrativa raffinatissima. Il cinema come grande strumento per raccontare una storia alla sua massima potenza.
Il regista iraniano fa esattamente questo e lo fa con delle sceneggiature che rasentano la perfezione per linearità e verosimiglianza. In bacheca ci sono due premi Oscar e tanti altri premi che sono meritatissimi (e questo non sempre è scontato).
Rimane, poi, di una qualità inavvicinabile la sua capacità di fotografare perfettamente il suo Paese in tutte le sue minime sfaccettature mettendone a nudo ogni zona d’ombra.
Vedere un suo film è sinonimo di garanzia.
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