L’atteso Pinocchio di Guillermo del Toro è uscito il 4 dicembre nelle sale e dall’8 dicembre è disponibile sulla piattaforma Netflix.
Sfatiamo subito un mito: non è e non vuole essere una fedele trasposizione dell’opera di Carlo Collodi. Il regista messicano prende la nota storia e la rilegge e rielabora secondo il suo gusto e le sue esigenze. Proprio in questo senso, lungo tutta la visione della pellicola, è interessante notare cosa si è scelto di mantenere e cosa cambiare rispetto alla storia originale.
Geppetto ha un figlio di nome Carlo: un figlio gentile, obbediente e diligente, insomma un figlio perfetto. Tuttavia, mentre sta lavorando insieme al padre, Carlo viene ucciso da una bomba che cade sopra di lui. E qui si inserisce una delle grandi modifiche fatte da del Toro alla storia: l’ambientazione, infatti, è quella dell’Italia fascista immersa dentro la guerra.
La perdita distrugge Geppetto che perde disinteresse nel lavoro e nella vita, passando anni ed anni a piangere la morte del giovane figlio rifugiandosi anche nell’alcol. Questa versione di Geppetto è molto meno idilliaca e bonaria di quella classicamente conosciuta: è un Geppetto che a volte si dimostra anche burbero, impaziente e scontroso. Insomma, quello descritto è un Geppetto decisamente più umano, con tutti i suoi difetti.

Pinocchio, invece, è un burattino a cui viene data la vita per cercare di lenire il dolore del padre. La fata turchina assume più i tratti di una sorta di angelo della vita, contrapposta a una sfinge della morte.
Qui c’è infatti un’altra delle innovazioni: del Toro dipinge un mondo ultraterreno della morte molto suggestivo che darà un’ulteriore sfumatura al protagonista. Ma le modifiche sono anche tante altre: dal Conte Volpe (fusione dei tradizionali personaggi della Volpe e di Mangiafuoco) alla creazione del personaggio del podestà fascista, dal ruolo principale che il Grillo Parlante ha in veste di narratore della storia allo stravolgimento della figura di Lucignolo (non tentatore, ma compagno empatico della sorte di Pinocchio).
E’ un film riuscito? Decisamente. Il progetto ha avuto una gestazione lunga: del Toro voleva farlo da anni, sembrava che non se ne sarebbe fatto nulla, poi è entrata in gioco Netflix che ha convinto il regista a proseguire col lavoro.
La pellicola, la prima animata del regista messicano, conclude una trilogia di film politici iniziata con La spina del diavolo e proseguita con Il labirinto del fauno. Nei primi due il periodo storico trattato era quello della guerra civile spagnola, in questo caso ci si è spostati all’interno dell’Italia fascista.
Mussolini viene ridotto a macchietta e, in generale, tutto il mondo fascista – e la guerra in generale – viene ridicolizzato dalla genuina ingenuità di Pinocchio. Ma, oltre ad essere un film politico, è anche un film sull’autodeterminazione: Pinocchio, inizialmente, non viene accettato né da Geppetto né dalle autorità locali ed è costretto ad attraversare un percorso di accettazione. Col passare dei minuti, dopo incomprensioni, disavventure e peripezie, il noto burattino si farà accettare per il suo essere un bambino diverso dagli altri.

Un film, quindi, anche sulla difficoltà di essere accettati per quello che si è, oltre al classico bildungsroman che caratterizza la storia collodiana.
Sì, qualche difetto non manca, come per esempio alcuni momenti centrali della pellicola che scorrono più lentamente e sembrano funzionare meno rispetto al resto facendo arrancare la storia per qualche istante. Tuttavia, niente che renda troppo pesante la visione o che intacchi il valore generale.
Parte iniziale e finale, invece, si stagliano decisamente come le due migliori parti per intensità drammatica ed anche per certe dosi di lirismo.
Ovviamente, in tutto questo, la firma di del Toro è sempre ampiamente riconoscibile: sia per quel lirismo che aveva caratterizzato anche alcune parti de La forma dell’acqua sia per le atmosfere fiabesche che riesce a caricare il tutto sia di sfumature ironiche che gotiche. Tutte caratteristiche esaltate anche dalle belle musiche di Alexandre Desplat.
Cosa dire in conclusione? Il Pinocchio di del Toro è un film riuscitissimo che attesta il suo ormai acclarato valore di regista e che ne afferma anche la qualità nelle pellicole animate. Non vedetelo cercando di fare un confronto con le altre trasposizioni cinematografiche o con la storia collodiana in sé; vedetelo come film indipendente.
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