Macbeth Polanski

Il “Macbeth” di Polanski: cruento, violento, una delle migliori trasposizioni

Roman Polanski realizza il suo Macbeth nel 1971. E si tratta di un film decisivo nella sua carriera per due motivi: è il primo lavoro che il regista polacco realizza con una sceneggiatura non originale ed è anche il primo lavoro dopo l’eccidio di Cielo Drive.

La storia è molto nota: la riassumiamo solo velocemente. In uno Scozia tetra e dai toni oscuri tre streghe incontrano Banquo e Macbeth e profetizzano a quest’ultimo che sarebbe diventato re. L’idea inizia così a insinuarsi nella mente del cavaliere e nella mente di sua moglie, Lady Macbeth.

L’ambizione e la sete di potere li divora e li porta a progettare e mettere in atto l’assassinio di re Duncan in modo che Macbeth possa prendere il trono al posto suo. Inizia così una spirale di assassinii e sangue in cui i due coniugi regali diventano sempre più ammaliati e ossessionati dall’idea che il trono possa essere a loro volta sottratto.

E quindi, come nelle migliori tragedie classiche, irrompono il furor e la follia umana sempre più tremenda e profonda. Un furor che inevitabilmente sarà portatore di ulteriore sangue e, infine, di morte.

Macbeth Polanski

I pregi di questa trasposizione sono numerosi. Anzi, ci lanciamo subito nel dire che, probabilmente, insieme alla versione di Orsen Welles probabilmente questa è la migliore tra le tante che sono state realizzate.

Innanzitutto spicca per la sua fedeltà al testo, nonostante qualche modifica nel finale. Straordinaria, sopra ogni altra cosa, è la messinscena: fedelissima fino al più piccolo dettaglio. I costumi sono bellissimi, così come tutta la scenografia e la realizzazione del contesto in cui si muovono i personaggi. Si respira una Scozia oscura, pericolosa, sinistra e piena di intrighi.

Come aveva fatto Welles è vincente la scelta di restituire i tipici soliloqui shakespeariani dei personaggi con la voce fuori campo. E, allo stesso modo, molto suggestive e ben inserite sono le visioni e gli incubi dei due protagonisti. Un aspetto che già Polanski aveva reso con grande efficacia nel suo secondo lungometraggio, Repulsion (1965), un fine horror psicologico.

Molti critici hanno definito questa trasposizione come eccessivamente violenta. Di certo, per sua stessa ammissione, è un film con cui Polanski decide di fare i conti con il terribile trauma subito nel 1969 e quindi la seta assassina di Macbeth non può non fare pensare al brutale eccidio della Manson Family, per quanto non ci sia nulla di più diverso tra il personaggio shakespeariano e Charles Manson.

A ben pensarci, però, il sangue e la violenza cruenta che non vengono risparmiati in questa trasposizione del Macbeth non ci sembrano affatto fuori luogo. Il Macbeth è di per sé una delle opere più tetre, tragiche e sanguinarie di Shakespeare insieme al Riccardo III. La volontà di insistere su quell’aspetto della tragedia sembra quindi essere in linea con le volontà originarie della tragedia e con le atmosfere trasmesse dal testo.

Tra le altre cose, è curioso il fatto che, nonostante la fama internazionale dopo un film come Rosemary’s Baby (1968), il regista abbia trovato difficoltà nel trovare produttori disposti a finanziare il film. Tutte le major, infatti, non ritenevano che fosse un soggetto nelle corde dell’autore polacco e quindi questo passò alla storia per essere stato il primo film prodotto da Playboy, la nota rivista.

Per gli appassionati shakespeariani e non, Macbeth di Polanski si attesta appunto come una delle migliori versioni cinematografiche della tragedia. Una versione che, come disse il critico teatrale Kennath Tynan, ha la giusta dose di fantasia e violenza.

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