L’uomo delle stelle è un film del 1995 di Giuseppe Tornatore con Sergio Castellitto.
Sono i tempi del grande cinema classico hollywoodiano che ammalia e affascina tutti: chiunque vorrebbe diventare una star del cinema. Joe Morelli (Sergio Castellitto) è un romano che cavalca proprio questa tendenza: gira per la Sicilia povera e affamata con il suo camioncino con dentro una cinepresa probabilmente rubata e pellicola scaduta. Morelli finge di essere una sorta di scout di talenti di una importante industria cinematografica e così truffa i poveri cittadini siciliani in cerca di riscatto nella vita offrendo loro dei falsi provini.
Morelli si arricchisce in questo modo ingannando le povere persone; finché una di queste, la giovane e bella Beata, s’invaghisce e poi s’innamora di lui. Nasce così anche una storia d’amore improbabile e tortuosa, diretta verso un finale drammatico, come succede a tutti i truffatori che, prima o dopo, vengono smascherati e puniti.

Si tratta del quinto lungometraggio di Tornatore, arrivato esattamente un anno dopo Una pura formalità (1994), con cui si pone in evidente contrasto. Col film precedente il regista siciliano aveva ampliato i suoi orizzonte verso un’idea di cinema più internazionale – cosa evidente già dalla presenza nel cast di due nomi imponenti come quelli di Roman Polanski e Gerard Depardieu.
Una strada internazionale che poi sarà proseguita e ampliata col successivo e noto La leggenda del pianista sull’oceano (1998). L’uomo delle stelle, invece, fa un passo indietro. A partire dalla lingua – quella italiana e non quella inglese – e dalle atmosfere.
E’ un film che parla della Sicilia, di quella Sicilia a cui il regista palermitano è tanto legato e a cui ha dedicato tanti lavori o tanti scorci di lavori. La Sicilia mostrata in questo lavoro è quella primitiva e povera, e per questo più vera e pura in tutte le sue sfaccettature: dall’indigenza profonda e asfissiante al genuino e ingenuo desiderio di successo e riscatto.
Ma è anche una Sicilia fatta di strade polverose, di paesaggi aridi e sconfinati in cui tutto è uguale e immutabile, rievocando quella secchezza geologica e antropologica presente ne La terra trema (1948) di Visconti, non a caso citato anche all’interno della pellicola.
Poi, ovviamente, all’interno c’è anche una storia sentimentale atipica e passionale, che non può non coinvolgere lo spettatore per la sua drammaticità, soprattutto nel finale.

Ma L’uomo delle stelle è anche e soprattutto un’analisi del rapporto tra l’uomo e la macchina da presa, un tema molto caro a Tornatore che va a riprendere diverse pagine importanti de I quaderni di Serafino Gubbio operatore di Luigi Pirandello.
Quelle persone povere, illuse e truffate davanti alla cinepresa si mettono a nudo, fanno esondare tutte le loro debolezze, le cose non dette, le emozioni represse e i sogni più reconditi. Lasciano con sollievo da parte quel mondo di finzioni che sono costretti a impersonare nella vita di tutti i giorni per essere parte del corpo sociale e danno libero sfogo a ciò che sentono la necessità di dire.
Davanti alla cinepresa viene fuori la Verità di queste persone, le loro esigenze interiori. Joe Morelli questo proprio non lo capisce: accecato dalla brama di denaro non vede che quelle persone si stanno confidando con lui e gli stanno affidando i loro fardelli più pesanti.
Morelli capirà tutto questo solo alla fine, dopo la punizione e la redenzione. E allora tutte quelle richieste di aiuto che gli erano state affidate gli passano drammaticamente davanti agli occhi della memoria: ormai vuote, grigie, dimenticate.
La narrazione, forse, in qualche momento è troppo diluita, ma il finale è perfettamente riuscito e suggella malinconicamente un lavoro che ha tanto da dire e che semanticamente ha tanti punti di riflessione.
La cinepresa come medium tra realtà e finzione: come specchio psicanalitico e come ultimo grido di ascolto. Un tema poderoso e sapientemente trattato che pone L’uomo delle stelle come un lavoro tutt’altro che secondario nella filmografia di Tornatore.
Rispondi