L’avversario (L’adversaire) è un film del 2002 di Nicole Garcia con Daniel Auteuil, tratto dal libro-cronaca di Emmanuel Carrère.
Jean-Marc Faure (Daniel Auteuil) sembra un uomo di successo e un amorevole padre di famiglia. La realtà, però, è molto diversa da quello che sembra: Jean-Marc, infatti, ha basato la sua vita intera su una costruzione di menzogne che lo ha portato a costruirsi un’esistenza completamente fittizia rispetto a quella che in realtà vive.
Chiunque lo conosca, compresi amici intimi e famiglia, credono che da oltre 20 anni sia un affermato medico dell’OMS di Ginevra che ricopre un ruolo facoltoso e che quindi 6si può permettere una vita agiata. Il castello di menzogne costruito dalla sua mente ha permesso di ingannare i genitori, la moglie Christine, gli amici medici, il migliore amico Luc (François Cluzet) e tutti quelli che anche superficialmente lo conosco.
Col passare del tempo, però, anche le risorse finanziarie – ottenute per via traverse e ingannando persone – finiscono e il segreto che Jean-Marc si porta dentro diventa troppo grande e lacerante per essere ancora sopportato. Inizia così una lenta ma progressiva disgregazione che porta il protagonista sulla soglia della follia e dell’impossibilità di riuscire a controllare il mondo che si è creato il quale, ormai, gli è sfuggito dalle mani ed è diventato incontrollabile.

Arrivato ormai a un punto di rottura, Jean-Marc è incapace di confessare la sua vita fatta di menzogna a coloro che ama; così, l’unico modo per superare la vergogna è ucciderli tutti, uno dopo l’altro: moglie, figli, genitori e amante, prima del tentativo di suicidarsi bruciando la casa che, però, non va a buon fine.
Jean-Marc – alias Jean-Claude Romand, nella vita reale – non muore nell’incendio da lui provocato e il film si chiude su questa scena, mentre Romand sarà poi processato, accusato di cinque omicidi certi e condannato all’ergastolo.
La storia raccontata ha un tasso di tragicità e di angoscia altissimi: in questo senso la regia di Nicole Garcia, che sfrutta tempi di narrazione dilatati e una dialogismo ridotto all’osso, insieme alle musiche centrate di Angelo Badalamenti, è perfettamente coerente col senso della storia e del libro da cui si ispira.

Tutta l’attenzione è sulle movenze, gli sguardi, il non detto, le poche parole del protagonista, nel tentativo, forse vano o forse impossibile, di comprendere il dramma interiore che lo attanaglia e che, infine, lo opprime fino a compiere le terribili azioni che effettivamente compie.
La prova attoriale di Daniel Auteuil, per questi motivi, è di altissimo livello. La macchina da presa lo cerca e lo segue costantemente con fare indagante, provando appunto a capire; e nel volto di Auteuil si condensa la lucidità cinica dell’uomo narrato insieme, poi, all’incomunicabilità col mondo di un segreto che è diventato troppo grande sia da rivelare che da sopportare.
Il romanzo, come il film, riescono paradossalmente a dare un briciolo di umanità a un personaggio che sembra o dovrebbe sembrare un mostro. Ci danno un impressionante spaccato di quello che può essere l’animo umano, in uno dei suoi recessi più profondi. Il risultato è ottimo: tutto ne L’avversario è drammaticamente angosciante e tragico.
Rispondi