Le Mans 66 Mangold Bale

“Le Mans ’66 – La grande sfida”: come Ford sconfisse Ferrari. Un’analisi tecnica

(C’è un momento, a 7000 giri al minuto, in cui tutto svanisce. La macchina diventa senza peso. Scompare. Tutto ciò che rimane, un corpo che si muove attraverso lo spazio, e il tempo. A 7000 giri al minuto, è lì che lo incontri. Ecco dove ti aspetta)

È il mondo del motorsport, il mondo delle corse. Un mondo affascinante e al tempo stesso pericoloso, in cui l’obiettivo è costantemente quello di cercare il limite, raggiungerlo per poi superarlo. Su questo si concentrano migliaia di tecnici e ingeneri, le squadre ci investono milioni e milioni di euro, i piloti mettono a rischio la propria vita. Tutto per un unico scopo: la vittoria. Come diceva Enzo Ferrari, “Chi arriva secondo è il primo dei perdenti”, mentre chi vince entra nella storia, viene ricordato per sempre e diventa famoso in tutto il mondo.

Le Mans ’66 – la grande sfida si colloca senza dubbio tra i migliori film ambientati in questo campo, grazie alla precisa ed efficace riproduzione di queste dinamiche messe in scena dal regista James Mangold. Uscito nelle sale nel 2019, ha ricevuto quattro candidature ai Premi Oscar 2020, fra cui quella di miglior film, grazie anche ad un notevole cast, fra cui spiccano Christian Bale e Matt Damon.

Le Mans 66 Bale Damon

Ci troviamo nel 1964, dal dopoguerra è scoppiata la passione per le gare automobilistiche e la scuderia da battere in quegli anni era la Ferrari, capace di vincere le ultime edizioni del campionato di Formula 1 e della 24 ore di Le Mans. Quest’ultima è una delle più antiche e affascinanti competizioni nella storia delle gare automobilistiche: si svolge nel circuit de la Sarthe, nei pressi di Le Mans, e dura ben 24 ore.

Negli stessi anni Henry Ford II, proprietario della causa automobilistica Ford, interessato ad espandersi e a far conoscere il proprio marchio in tutto il mondo, dopo aver persino tentato di acquistare la Ferrari, cercò di mettere fine a questo dominio e decise che di costruire un’auto da corsa talmente forte da battere la cavallina rossa. Diede l’incarico di progettare la macchina per la 24 ore di Le Mans a Carroll Shelby (Matt Damon), ex vincitore della suddetta competizione dedicatosi poi alla vendita di auto, e al pilota Ken Miles (Christian Bale), decisamente fuori dagli schemi del mondo delle corse di alto livello.

Nel 1965 fu ancora la Ferrari a riconfermarsi vincitrice, mentre la Ford si trovò a dover affrontare numerosi problemi di affidabilità, soprattutto con i freni che, a causa della grande potenza sviluppata dai motori Ford, si surriscaldavano. Fu così che un ingegnere della Ford ebbe un’idea impensabile all’epoca: progettò un sistema frenante a cambio rapido, con cui i meccanici potevano sostituire le pastiglie e i rotori dei freni durante il cambio pilota evitando così che si surriscaldassero. Nonostante le tante polemiche che nacquero su questo tema, la Ford GT40 fu dichiarata idonea a partecipare, pronta più che mai a sfidarsi con Ferrari. Il resto è storia e invito tutti a vedere il film perché, nonostante il finale sembri scontato, ci furono colpi di scena fino all’ultima curva, impensabili per chiunque non conosca la storia.

Cerchiamo ora di addentrarci in questioni più strettamente tecniche per comprendere al meglio quali furono le problematiche legate ai freni che si trovò a dover affrontare la Ford e come riuscì a risolverle.

I freni, in particolar modo i freni meccanici, si basano essenzialmente su un principio molto semplice, ovvero l’attrito. In particolare, per rallentare una ruota che sta girando, possiamo fare in modo che un altro oggetto prema su di essa, in modo che i due corpi siano in contatto, striscino uno rispetto all’altro e si formi una forza di attrito che si oppone alla rotazione della ruota. Maggiore sarà la pressione dell’oggetto sulla ruota, maggiore sarà la forza di attrito e più velocemente la ruota rallenterà.

Un’ altra caratteristica dell’attrito, che risulterà fondamentale al termine della nostra trattazione, è il fatto che la forza di attrito fa parte delle cosiddette forze dissipative, ovvero disperdono una parte dell’energia posseduta dal sistema. Un’automobile in movimento possiede una certa velocità e quindi una certa energia cinetica, ma sotto l’azione frenante la velocità e l’energia dell’auto diminuiscono a causa della forza di attrito, la quale trasforma l’energia persa per lo più in calore.

Esistono varie tipologie di freni, fra cui le più usate a livello automobilistico sono i freni a disco e i freni a tamburo.

I freni a tamburo sono quelli meno frequenti negli ultimi anni, in quanto conferiscono una frenata meno efficiente e si raffreddano più lentamente, ma costano di meno e solitamente durano più a lungo. Sono caratterizzati da due ganasce che premono sul tamburo rotante, collegato alla ruota nel caso delle automobili, che rallentano fino a fermarlo.

I freni a disco sono costituiti da un disco fissato alla ruota che ruota insieme ad essa, dalle pinze dei freni che invece restano fisse in quanto collegate alla carrozzeria dell’auto e dalle pastiglie dei freni, interne alle pinze stesse. Queste ultime, premendo sul disco, generano una grande forza di attrito in grado di rallentare la rotazione della ruota.

Abbiamo capito che per frenare un’automobile bisogna rallentarne la rotazione delle ruote e, per fare ciò, è necessario che un oggetto prema contro di esse generando una forza di attrito. Ma cos’è che genera questa pressione all’interno dell’auto e che la regola in base all’entità della frenata necessaria? Vediamo brevemente da cosa è costituito l’impianto frenante tipico di un’auto.

Come si può immaginare, il tutto parte dal pedale del freno attraverso cui è il pilota stesso a far partire l’azione frenante e a regolarla. Ma come è possibile che un’automobile che, nel caso di auto da corsa, può sfiorare i 300 km/h e può arrivare a pesare quasi una tonnellata venga rallentata fino anche a fermarsi semplicemente premendo un pedale e senza fare neanche troppa fatica? Il principale responsabile di questo fenomeno è il servofreno.

Questo elemento è in grado di semplificare tantissimo la frenata aspirando l’aria a bassissima pressione dal condotto di aspirazione del motore. È possibile verificare facilmente questo fenomeno, seppur abbastanza pericolosamente, provando a frenare quando la macchina è spenta. Infatti, quando la macchina è spenta, il motore non è in funzione e di conseguenza l’aria proveniente dal collettore di aspirazione non sarà più a bassa pressione, ma all’incirca alla pressione atmosferica. Questa condizione annulla completamente l’effetto del servofreno e quindi la frenata risulterà ancora possibile, ma estremamente più difficile e servirà imprimere una pressione estremamente maggiore sul pedale. Ecco perché è importante non frenare mai a motore spento ad alte velocità o in discesa.

Dopo il servofreno è presente la cosiddetta pompa dei freni, all’interno della quale un pistoncino collegato al servofreno e al pedale del freno trasmette la pressione esercitata sul pedale ad un liquido proveniente dal serbatoio facilmente visibile sotto il cofano, comunemente detto olio dei freni. È molto importante monitorare e sostituire periodicamente (tipicamente ogni due anni) questo liquido, in quanto col passare del tempo potrebbe assorbire umidità e compromettere pesantemente l’efficacia della frenata.

Il fluido attraverso dei tubi flessibili arriva alle ganasce dei freni a tamburo o alle pinze dei freni a disco, trasmettendo così la pressione alle pastiglie che andranno a premere sul disco della ruota, generando la forza di attrito richiesta. Maggiore è la pressione esercitata sul pedale, maggiore sarà la pressione trasferita al fluido e maggiore sarà la spinta delle pastiglie sul disco e la conseguente azione frenante.

Concludiamo questa analisi soffermandoci sull’aspetto che più ci interessa, in quanto causa della maggior parte dei problemi di affidabilità del Ford GT40: la stretta correlazione fra temperatura e attrito.

Come abbiamo anticipato, durante la frenata una parte dell’energia cinetica dell’auto si trasforma in calore. Quest’ultimo viene trasmesso alle pastiglie e soprattutto ai dischi delle ruote e ne comporta un aumento della temperatura. Se le temperature superano una certa soglia critica, si dice che i freni si surriscaldano e le pastiglie cominciano a scivolare sul disco, rendendo meno efficace la frenata e rischiando di rovinare in maniera irreversibile i componenti.

Nelle auto da strada il limite di temperatura si aggira sui 600/700°C, ma è difficile raggiungerla, se non con una guida troppo aggressiva o con una frenata troppo prolungata per esempio in discesa. Nelle auto da corsa si arriva invece anche a temperature di circa 1000°C, ma c’è una particolarità: su queste auto, e spesso anche sulle moto, vengono montati i dischi in carbonio che hanno la peculiarità di generare una forza di attrito maggiore all’aumentare della temperatura, fino ad un certo limite. Tuttavia, questa soluzione presenta anche la problematica inversa che la rende inutilizzabile su auto da strada: quando la temperatura scende troppo (sotto i 200°C), si verifica il fenomeno di “glazing”, ovvero vetrificazione dei freni, in cui l’entità della forza di attrito scende a tal punto da rendere inefficace la frenata. È perciò fondamentale mantenere i freni caldi nell’intervallo di temperatura ottimale.

Tornando alla trama del film, è proprio per questo motivo che gli ingegneri della Ford assemblarono l’impianto frenante in modo tale da rendere la sostituzione di dischi e pastiglie molto più veloce. All’epoca i dischi e le pastiglie erano montate sul lato interno della flangia della ruota, per questo ci volevano dai 20 ai 30 minuti per sostituire questi componenti. Gli ingegneri della Ford trovarono una soluzione semplice ed elegante al problema, fissando dischi e pastiglie sulla flangia esterna, soluzione adottata ancora oggi sulla maggior parte delle auto. In questo modo, non appena i freni diventavano troppo caldi, era sufficiente fare un pit-stop perdendo solo quale minuto.

Col passare degli anni sono state presentate varie soluzioni per raffreddare i freni e impedire che questi si surriscaldino, soprattutto nell’ambito delle corse in cui il problema è più evidente. Solitamente vengono realizzate delle prese d’aria che conducono l’aria esterna verso i dischi e li raffreddano. Inoltre si utilizzano dei dischi autoventilati, sul cui spessore vengono realizzate delle aperture che permettono all’aria di creare dei flussi all’interno e raffreddare più efficacemente, o dei dischi forati, ovvero dei dischi che presentano un numero indefinito di fori sulla superficie per poter dissipare meglio il calore. In questo modo, quando l’auto frena in prossimità delle curve, i freni generano calore e si riscaldano, mentre nei rettilinei si raffreddano grazie alla grande quantità di aria che entra nelle prese d’aria, rimanendo sempre nel range di temperatura ottimale.

Le continue evoluzioni nel mondo tecnologico stanno aprendo nuove possibilità anche nel mondo dei freni tant’è che già negli ultimi anni sono stati fatti notevoli passi avanti. In particolare, oltre alla frenatura antibloccaggio (ABS) già in uso da vari anni, sono stati sviluppati la cosiddetta frenata autonoma di emergenza (AEB) e sistemi di frenata a recupero energetico, con cui viene recuperata una parte della diminuzione di energia cinetica del veicolo per trasferirla alla batteria e sfruttarla per dare più potenza al motore.

Inoltre il futuro dei sistemi frenanti si sta spingendo sempre di più verso l’elettrico, passando dai sistemi di controllo meccanici tipici dei freni idraulici come quello che abbiamo trattato, a sistemi di controllo elettronici, attraverso l’introduzione di sensori in grado di misurare la pressione esercitata sul pedale del freno e trasmetterla ad un fluido sotto l’azione di una centralina e potenti attuatori, con l’obiettivo finale di avere veicoli sempre più efficienti e intelligenti.

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