Il ritorno di Casanova (2023) è l’ultimo film di Gabriele Salvatores con Toni Servillo e Fabrizio Bentivoglio.
Leo Bernardi (Toni Servillo) è un regista di successo che però vive un momento di depressione e si trova incagliato e disinteressato nel portare a termine il suo ultimo film “Il ritorno di Casanova” – ispirato al racconto di Arthur Schnitzler – che dovrebbe concorrere al Festival di Venezia.
Il film nel film racconta le difficoltà dell’anziano Giacomo Casanova (Fabrizio Bentivoglio) nell’accettare l’ormai incapacità di adescare giovani ragazze a causa di una vecchiaia che lo rende irriconoscibile anche ai suoi occhi. Il cavaliere di Seingalt vive uno stato di solitudine e di afasia così come il regista che dovrebbe dargli vita; nel caso di Bernardi, però, il punto di rottura è una relazione complicata e controversa con una giovane ragazza.

Il ritorno di Casanova è un film ambizioso a partire dai nomi che tira in ballo, dai rimandi che vuole provocare (inevitabilmente quello felliniano in primis) e per tutto quello che gli sta attorno.
E’ anche un film che, secondo il punto di vista di chi scrive, aveva suscitato alte aspettative: l’idea di fondo, infatti, è molto buona e poteva essere veramente qualcosa di vincente e interessante. Il risultato, invece, lascia col boccone amaro per il potenziale che questo film spreca in proporzione a quello che poteva essere.
Salvatores decide di fare scorrere fin dall’inizio i due binari (le vicissitudini del regista e il film nel film) in modo parallelo marcandoli diversamente: uno in bianco e nero, e l’altro a colori. E’ ovvio che i due binari vogliono parlarsi e vogliono confluire verso delle conclusioni che, se non sono sovrapponibili, vogliono essere almeno simili.
Il risultato, però, risulta disorganico e non convincente. L’amalgama tra i due filoni non avviene mai veramente e il tutto risulta spesso un collage che poteva venire meglio.
E’ evidente che il tema trattato sia quello della crisi legata all’avanzare dell’età e al tempo che passa che, in modi diversi, colpisce sia Casanova che il regista Bernardi provocando le rispettive crisi d’identità. Tuttavia i due personaggi non riescono mai a parlarsi e a dialogare veramente: rimangono due monadi distanti.
Con l’aggravante che anche i due filoni, presi singolarmente, non colpiscono nel segno e sembrano non mettere in luce passaggi narrativi che invece sarebbero decisivi. La storia d’amore tra il protagonista e l’amante, infatti, poteva essere raccontata e approfondita meglio piuttosto che essere costretta ad essere stralci di situazioni e frasi non dette. Tra le due storie, alla fine, pare essere più riuscita quella legata a Casanova che almeno è autoconclusiva e coerente nel suo sviluppo.

A funzionare meglio sono i momenti di commedia pura, ovvero le parti che vogliono essere più parodiche e anche autoironiche verso il mestiere stesso del regista. Mentre l’analisi psicologica di un autore in crisi d’identità, ovvero il vero tema che vorrebbe essere il fulcro della pellicola, rimane solo sottintesa facendo in modo che tutto sia lasciato a un fluire di immagine spesso fine a sé stesso.
Il finale stesso del film pare essere un po’ forzato e fin troppo allusivo: insomma, manca un punto fermo che faccia da collante come manca un punto esclamativo finale.
Poi, comunque, il film lascia anche alcune buone suggestioni. Quando Toni Servillo si muove sullo schermo non si può che esserne sempre affascinati per la straordinaria bravura, e anche Natalino Balasso si mostra molto centrato nella parte del montatore.
In ogni caso, però, Il ritorno di Casanova è un film che ci aveva suscitato grande curiosità e aspettative, ma che ci ha lasciato amareggiati e in parte delusi per quello che poteva e non è riuscito ad essere.
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