“Rhett, Rhett … Rhett, if you go, where shall I go? What shall I do?”. “Frankly, my dear, I don’t give a damn” .Ovvero una delle battute più famose della storia del cinema.
Ovviamente si tratta di Via col vento (Gone with the Wind), film del 1939 diretto da Victor Fleming e intrepretato da Vivien Leigh e Clark Gable.
La trama è nota praticamente a chiunque. Scarlett (Vivien Leigh) è figlia di un possidente terriero del sud; è una ragazza scontrosa, determinata, vulcanica e spesso rancorosa. Il suo amato Ashley Wilkes non sposa lei, ma Melanie (Olivia de Havilland) e per la protagonista Ashley rimarrà sempre l’amore mancato e nemmeno troppo nascosto.
Poi nella vicenda irrompe la Guerra di Secessione con tutta la morte, la miseria e la distruzione che quella guerra – come tutte le guerre – si porta dietro. Scarlett in questo frangente riscopre un lato di sé compassionevole, coraggioso ed energico, il quale, però, al termine della guerra verrà nuovamente sottomesso e oscurato dall’anima più umbratile e nevrotica della signorina O’Hara.
Intanto, insieme alla guerra, fa il suo ingresso nella storia anche il capitano Rhett Butler (Clark Gable), l’uomo che amerà davvero Scarlett, ma che non verrà mai ricambiato da lei andando a creare così una coppia dove l’insoddisfazione e il rimpianto sono i tratti decisivi.

Questa è pressappoco la trama del film: un film che, beninteso, è una vera e propria epopea da guardare prima che da raccontare.
Su questo caposaldo della storia del cinema si è, giustamente, già detto e scritto tutto. Quindi aggiungiamo solo qualche commento marginale perché si tratta di una pellicola che, a modo suo, non invecchia mai ed è rivedibile continuamente.
Sì, certo, qualche elemento che ci fa capire che è stato realizzato nel 1939 è presente: in primo luogo ancora una posizione retrograda rispetto alla popolazione afroamericana. Ma, tuttavia, quei limiti sono stati anche colmati da un significativo (e pure meritato) Oscar come miglior attrice non protagonista assegnato a Hattie McDaniel per il ruolo di Mammy, la domestica degli O’Hara.
Detto questo, la pellicola è davvero dotata di una capacità di trascendere il tempo – come del resto accade quando il cinema è buon cinema. A partire, per esempio, dall’uso del colore: veramente impressionante per la limpidezza e la vividezza di cui è dotato (tenendo bene a mente che siamo in un’età in cui il colore era lontano dall’irrompere diffusamente nella settima arte). Cosa che si può osservare benissimo dalla stupefacente brillantezza degli occhi verdi di una Vivien Leigh che, nonostante provi in tutti i modi a farci odiare il suo personaggio, non può non colpire per la sua bellezza.

E se della bravura di Clark Gable nella parte dell’uomo burbero ma onesto e di Olivia de Havilland nel ruolo della donna premurosa dall’estrema gentilezza si è già detto tanto, vogliamo ancora soffermarci un attimo sugli aspetti tecnici della pellicola. Perché oltre al colore, vale la pena ricordare la qualità della colonna sonora, dei costumi e soprattutto di regia e sceneggiatura.
Il ministero di David Wark Griffith e del suo Birth of a Nation qui viene preso e adattato come meglio non si poteva, entrando nel solco di una tradizione che ha reso davvero grande il cinema classico hollywoodiano.
L’uso sapiente del montaggio e della regia esaltano la vicenda raccontata dandole estrema scorrevolezza – nonostante le quasi quattro ore di durata – e tenendo sempre bene a mente quelli che sono i fili da tenere uniti nel dipanarsi della matassa che è la storia come lo sviluppo dei personaggi all’interno della storia stessa. Tutto questo, molto più complesso e difficile di quanto sembri – anzi, quasi una sfida titanica in una pellicola che appunto è di una durata così importante – è la vera forza, il vero motore immobile della pellicola.
Perché se Via col vento è ancora un film imprescindibile per chiunque ami la settima arte il motivo è proprio nel suo essere uno dei migliori rappresentanti di quello che chiamiamo cinema. Ovvero della capacità di, prima di ogni altra cosa, raccontare una storia che ci faccia emozionare attraverso una cinepresa.
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