Everything Everywhere All at Once (2022) di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, meglio noti come The Daniels, è il film che ha sbancato agli Oscar 2023 ed è davvero il film del 2022.
Evelyn (Michelle Yeoh) vive un momento difficile della sua vita: immigrata cinese negli Stati Uniti conduce a fatica una lavanderia col marito Waymond (Ke Huy Quan) che, tuttavia, vorrebbe chiedere il divorzio; la giovane figlia Joy (Stephanie Hsu) è omosessuale ma la madre non riesce a comunicare la cosa all’anziano padre; l’esistenza della lavanderia stessa è minacciata dall’agenzia per la riscossione dei tributi.
Quando tutto sembra per crollare Evelyn viene in contatto con Alpha Waymond, un’altra versione di suo marito mandato da uno degli infiniti universi che compongono l’esistenza di ognuno. E qui non può che finire il nostro racconto di una trama che diventa intricata, fitta e variegata come un labirinto senza uscita e con molteplici possibilità e scenari.

Ecco che quindi entra in gioco il concetto di multiverso. Decisamente non quello sdoganato dalla Marvel, ma un multiverso pensato e creato con cognizione di causa che ricalca alcune delle teorie combinatorie della letteratura del Secondo Novecento incarnata da autori come Italo Calvino e Raymond Quenaeu.
Ogni piccola variazione negli eventi della nostra vita può cambiare la vita stessa in modo estremamente vario e allora ecco che l’esistenza di ognuno è formata da innumerevoli possibilità e vite che scorrono parallele le une dalle altre, diversissime fra loro.
Il film quindi prende la piega un action movie fantascientifico di arti marziali per fare in modo che il Bene trionfi sul Male. E detto in questo modo potrebbe essere perfettamente la dicitura del più classico dei b movies.
Ma dentro l’action movie ci sono il genio e la follia, e da lì nascono la grandezza e la completezza di tutto il film. Perché la cosa grandiosa è che tutti i vari universi parlano fra loro in modo organico e non sono altro che quello che succede nella mente di Evelyn nel giro di qualche minuto o secondo.
Tutto quello che accade nella pellicola è una lotta che avviene nella mente della protagonista che cerca di trovare qualcosa di buono in un’esistenza grigia, anonima e mediocre. E’ una grande ricerca della felicità attraverso le piccole cose. E Evelyn, alla fine, questa felicità la trova, nonostante il finale voglia lasciarci il dubbio.
A ben vedere il messaggio decisivo del film non è niente di innovativo e straordinario: riconoscere la felicità nella grigia quotidianità che ci circonda, nel valore della gentilezza e dell’amore dei cari che ci stanno attorno. Ma estremamente innovativo e straordinario è il modo in cui tutto questo viene orchestrato e realizzato sia a livello compositivo che a livello emotivo.

La sceneggiatura è strepitosa, la regia pure e il montaggio anche. I Daniels riescono a creare un multiverso che ad ogni passo ha le stigmate della genialità, anche per quanto riesce a muoversi tra originalità, efficacia e ironia.
Sceneggiatura e regia viaggiano e lavorano insieme nel sapere tenere uniti e coerenti gli innumerevoli pezzi del puzzle lasciati sul tavolo allo spettatore che non può che lasciarsi andare e sprofondare nel magma che il film gli mette davanti.
Poi, come ciliegine sulla torta, ci sono le grandi performance dei quattro attori principali (e infatti tre di questi hanno vinto l’ambita statuetta). Ke Huy Quan fa commuovere incarnando i valori della gentilezza e della pacatezza; Michelle Yeoh sa caricarsi sulle spalle un ruolo non semplice e Jamie Lee Curtis si muove benissimo nei panni di una sorta di villain che col passare dei minuti conosce il valore dell’empatia.
Everything Everywhere All at Once è un film di cui si potrebbe parlare per ore senza arrivare mai a comprendere il tutto. Ed è anche un bene che sia così: perché è un film che è fatto, più di altri, per essere visto e rivisto, e anche vissuto.
E’ un capolavoro che merita tutti i premi che ha vinto.
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