Alice Woody Allen

“Alice”: un racconto favolistico dall’ingenuità alla maturità

Alice (1990) è un film scritto e diretto da Woody Allen.

Alice Tate (Mia Farrow) è una casalinga borghese pudica e dai modi delicati sposata col facoltoso Doug (William Hurt). A causa di alcuni problemi alla schiena si rivolge all’anomalo dottor Yang che gli prescrive delle erbe dagli effetti più disparati, tra cui anche quello di diventare invisibile.

Nel frattempo Alice si innamora anche di un altro uomo (Joe Mantegna) e per la prima volta nella sua volta pensa all’adulterio. Così questi due filoni si intrecciano insieme a molti altri trasformando il film in quella che è la favola di Alice: una sorta di favola che la condurrà, seppur in ritardo rispetto al tassametro anagrafico, dall’età dell’ingenuità a quella della maturità.

Alice Woody Allen

Alice si colloca nella vastissima produzione alleniana a cavallo tra anni Ottanta e Novanta in quello che è l’inizio di uno di quei periodi di crisi creativa del regista newyorchese.

E, in effetti, si può dire che la pellicola sia non riuscita. Allen vorrebbe con questo lavoro fare una delle sue solite romantic comedy, aggiungendo al tutto anche il favolistico, veicolato dai registri utilizzati e soprattutto dall’elemento magico-soprannaturale introdotto dalla figura del dottor Yang.

In questo senso, nella scena in cui Alice vola sopra i tetti delle case in qualità di ectoplasma è evidente l’influenza di Edipo relitto, mediometraggio girato da Allen appena un anno prima e facente parte del film a episodi New York Stories realizzato insieme a Coppola e Scorsese.

La volontà di rendere la vicenda di Alice una favola è quindi dichiarata, ma forse quella è proprio la parte del film che funziona di meno. Infatti, la seconda metà di visione, che accantona questa sottotrama e si concentra maggiormente sull’evoluzione antropologica della protagonista, pare decisamente più riuscita rispetto allo svolgimento precedente.

Alice si trova a dover fare i conti con i suoi fantasmi del passato (l’ex fidanzato defunto, la madre) che altro non sono che paure del presente, fili scorsoi che tengono imbrigliata la sua vita e non le permettono di essere quello che vuole.

Allora l’elemento magico – le famose erbe del dottor Yang – sono proprio funzionali per farle aprire gli occhi e per farle capire che la sua vita non è altro che una grande menzogna e un’inerzia verso il nulla. Allora Alice riscopre le sue volontà, le sue ambizioni e il desiderio di essere felice, rinunciando a un matrimonio che è diventato pura rassegnazione e cambiando totalmente stile di vita.

Alice è certo un lavoro che si attesta sotto alla media delle opere alleniane. Però è anche un film che va visto con disincanto e umorismo, assecondando quella che è la verve del racconto, appunto favolistica, spiritosa, ma con quel velo esistenziale e antropologico che caratterizza, di fatto, Woody Allen in toto.

L’amore è l’emozione più complicata. Gli essere umani sono imprevedibili. Non c’è logica alle emozioni. Senza logica, non c’è pensiero razionale. Senza pensiero razionale, tuttavia ci può essere molto romanticismo, ma anche molta sofferenza” dice il dottor Yang.

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Comments (

1

)

  1. “Settembre”, quando Woody Allen provò (più volte) a rifare Bergman e Cechov – SOLARIS

    […] fatto che Settembre è un film che rivedremmo per provare ad andarci più a fondo (a differenza di altri che ci hanno convinto molto meno). Se cercate l’Allen più drammatico e bergmaniano qui lo […]

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