La ligne Ursula Meier

“La Ligne”: il senso di colpa e la complessità di un rapporto madre/figlia

La Ligne – La linea invisibile (2022) è l’ultimo film di Ursula Meier presentato al 72esimo Festival di Berlino e attualmente nelle sale italiane.

Margaret (Stéphanie Blanchoud) ha un rapporto complesso con la madre Christine (Valeria Bruni Tedeschi) e, in uno scontro fra le due, arriva a picchiarla. Christine, colpita dalla figlia, cade e sbatte la testa contro il pianoforte perdendo in parte l’udito. Contro la figlia Margaret viene così emanato un ordine restrittivo di tre mesi.

Margaret è separata dalla madre da 200 metri, ma lei vorrebbe vederla e sentire come sta. Le due sorelle, però, temono che vedendola possa esplodere nuovamente in uno dei suoi scatti d’ira e allora la piccola Marion decide di tracciare con vernice e pennello una linea che la separi dalla casa della madre. Si tratta della linea invisibile che dà il titolo al film.

Quello di Ursula Meier è un film intimo e psicologicamente frastagliato tutto al femminile in cui linee generazionali diverse s’incontrano e si scontrano. Tre sono le figure maggiormente indagate all’interno della pellicola: la protagonista Margaret, la madre Christine e la sorella minore Marion.

Margaret è una ragazza che ha avuto una adolescenza difficile: la madre è rimasta incinta di lei troppo presto, proprio quando aspirava a una carriera come musicista. In lei, quindi, è vivo il senso di colpa per essere la figlia che non ha permesso alla madre di realizzare i propri sogni. Un pensiero che, probabilmente, ha dato vita al suo carattere difficile e alla tendenza a sfogarsi con la violenza fisica.

Christine, invece, è una donna che a sua volta vive il senso di colpa per quello che la sua vita (non) è stata e per la madre che probabilmente non ha saputo essere. Il rimpianto per non avere avuto una carriera musicale ritorna costantemente e le fragilità profonda che a sua volta possiede – magari ereditata a sua volta dalla rispettiva madre – viene riempita con la ricerca di differenti partner sessuali.

Nei suoi gesti, poi, è evidente la difficoltà nel saper essere madre fino in fondo e nel saper perdonare alle figlie, Margaret soprattutto, il fatto di non averle permesso di vivere la vita che avrebbe voluto. In questo modo le sue parole e la sua fisiognomica scaraventano costantemente questo peso sulle figlie che sono lacerate da questo enorme senso di colpa.

Allo stesso modo funziona per la giovane Marion, la figlia appena adolescente che si sente la figlia arrivata tardi, un’altra figlia non voluta. Lei nel film è una sorta di mediatrice tra le due parti ed è a sua volta un personaggio molto frastagliato. Marion è una bambina che ha dovuto diventare grande in fretta; è matura, indipendente e sveglia, ma il suo dolore è grande e spesso per superarlo, vista l’impossibilità di trovare una soluzione, si rivolge alla religione.

Ursula Meier realizza quindi una pellicola che comunica sensazioni forti e potenti, che sa valorizzare al meglio il valore comunicativo degli sguardi e dei silenzi.

Il suo sguardo non è mai giudicante e non dà mai indicazioni nette in quello che mostra: si limita appunto a mettere sullo schermo la problematicità di una dinamica famigliare con tutti i suoi coni oscuri e i pochi punti di luce. Allo spettatore non viene mai data una risposta del perché i personaggi compiono le loro azioni: semplicemente queste azioni vengono mostrate. Poi sta proprio al pubblico provare a capirne le motivazioni, senza che per questioni così delicate ci sia necessariamente una chiave di lettura unica.

La Ligne, quindi, è un film che non può non fare interrogare lo spettatore, alla fine della visione, su temi poderosi come il senso di colpa, le dinamiche famigliari e nello specifico il rapporto madre/figlia. Visto che un altro pregio di questo lavoro è proprio quello di essere tutto al femminile .

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