Il sapore della ciliegia è un film del 1997 scritto, diretto, prodotto e montato da Abbas Kiarostami.
In una periferica e polverosa Teheran, il signor Badī (Homāyun Eršādi) vaga con la sua macchina apparentemente senza meta. Apparentemente perché in realtà il signor Badī ha un obiettivo ben preciso: trovare una persona che lo aiuti a suicidarsi. Egli ha già scavato la propria fossa, in un punto della campagna nascosto dall’ombra di un alberello, e desidera che qualcuno vada il mattino seguente a ricoprire il suo corpo con due spalate di terra.
In questo suo vagare, il signor Badī incontra diverse persone – perlopiù immigrati afgani che cercano lavoro come manovali – ma ne sceglie casualmente tre a cui, una volta avvicinati e fatti salire in macchina, spiega il suo piano e offre loro in cambio un’elevata somma di denaro (200mila toman, equivalenti al salario di sei mesi di un operaio in Iran).
Il primo personaggio che vediamo salire in macchina è un ragazzo curdo da poco entrato nell’esercito (Safar ‘Ali Murādi) che, una volta ascoltata la proposta, si spaventa e fugge a gambe levate.
Il secondo personaggio (Mir Hossein Nuri), è un seminarista afgano di una scuola coranica che, in linea con il proprio credo – che vede il suicidio come atto sacrilego – rifiuta la proposta e, recitando i versi del Corano sull’argomento, lo invita a cambiare idea.

Incontriamo poi l’ultimo personaggio, il signor Bagheri (Abdelrahman Bāqiri), un anziano impiegato turco, tassidermista al museo di scienze naturali, che – seppur con qualche tentennamento – accetta l’accordo, perché ha bisogno di soldi per le cure del figlioletto malato.
Durante il tragitto, però, Bagheri gli fa volutamente prendere una strada diversa, più lunga, per avere il tempo di raccontare al signor Badī un ricordo personale: Bagheri, agli inizi del suo matrimonio, era talmente esausto da tutta una serie di eventi e accadimenti, che era arrivato al punto di pensare di farla finita. Arrivata la mattina in cui aveva deciso di impiccarsi, e arrivato nel punto in cui aveva deciso di farlo, Bagheri ha provato più volte ad agganciare la corda all’albero di gelsi lì presente, ma senza riuscirci. Salito sull’albero per agganciare la corda manualmente, vide i gelsi belli maturi e decise di assaggiarli. “Ero andato a suicidarmi e sono ritornato con i gelsi”. Bagheri poi sottolinea come, grazie ai gelsi, non si siano di certo risolti tutti i problemi che aveva, ma era cambiato il pensiero, il modo di affrontarli.
“Tu cambia il tuo modo di pensare e cambierà il mondo. Guarda le cose diversamente. Guardale con ottimismo.” È vero che la morte è una soluzione, ci dice il signor Bagheri, ma non va scelta come soluzione ai problemi personali. La morte è l’ultima fermata del treno della vita.
“Vuoi rinunciare al sapore della ciliegia? Non rinunciare, io dico «amico mio, non rinunciare»”.

Ciò che colpisce in questo film è proprio l’attitudine alla vita del protagonista. Da un aspirante suicida ci si aspetterebbe quanto meno forte disperazione, una persona disposta a tutto che – davanti al rifiuto di quelli che dovrebbero essere i suoi aiutanti – dovrebbe voler alzare l’asticella affinchè si compia il suo proposito. Invece assistiamo alla completa apatia del signor Badī: le sue emozioni sono criptiche, il suo volto non lascia spazio ad interpretazioni e sembra che niente possa scalfirlo.
È apatico quando vaga nell’ossessiva (ma calma) ricerca di un aiutante, è apatico quando – per un motivo o per un altro – riceve solo rifiuti, è apatico quando trova finalmente qualcuno disposto ad aiutarlo. Sembra vuoto, privo di emozioni. L’unica emozione che non riesce a nascondere è la paura, manifestata solo verso la fine della pellicola, quando si vuole assicurare che il signor Bagheri abbia perfettamente recepito il comando e che, soprattutto, lo metta in atto solo dopo aver ripetutamente controllato che sia davvero morto.
Questo capolavoro di Abbas Kiarostami, che ha vinto la Palma d’oro al Festival di Cannes del 1997, indipendentemente dal suo finale, è un vero e proprio inno alla vita. Il sapore della ciliegia, che dà il titolo al film, diventa emblema della bellezza della vita, simbolo di quanto il signor Badī si perderebbe, se decidesse davvero di farla finita. Un sapore genuino, una visione dolce che si scaglia nell’asprezza visiva di un paesaggio scarno e arido. Il corso di una vita – di cui non sappiamo assolutamente nulla, per cui non c’è spazio al giudizio altrui sull’essere meritevole di essere vissuta o meno – può cambiare improvvisamente, anche grazie ad un elemento di cui non tenevamo minimamente conto.
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