I misteri del giardino di Compton House Greenaway

Greenaway e la rappresentabilità del reale – considerazioni a margine

L’arte è colpevole, sempre. Anzi, l’artista è colpevole. Questo il primo pensiero che viene in mente una volta usciti dalla sala, dopo aver visto la versione restaurata – da poco distribuita – del secondo film di Peter Greenaway, I misteri del giardino di Compton House (1982).

In Inghilterra, alla fine del XVII secolo, Mrs. Herbert decide di commissionare 12 tavole di disegno della propria splendida casa a un giovane pittore, Mr. Neville, in cambio di vitto, alloggio, un cospicuo pagamento e la libertà di trarre piacere da lei, ogni qual volta lo voglia. Si tratta di un disperato tentativo di riconquistare la fiducia e l’attenzione del marito, Mr. Herbert, che si trova a Southampton per affari. Mr. Neville accetta e incomincia a mettersi al lavoro, con rigore e precisione, rappresentando qualsiasi cosa si trovi davanti ai suoi occhi, nei vari scorci e luoghi selezionati.

È Mrs. Talmann, la figlia di Mrs. Herbert, la prima a notare, nell’insieme dei disegni, una serie di oggetti fuori posto, di vestiti incomprensibilmente sparsi per il giardino. Ipotizza, allora, che i disegni siano connessi da una trama segreta, che raccontino la scomparsa di qualcuno, forse proprio di suo padre, di cui, in effetti, non si hanno notizie da diversi giorni.

Grazie a quest’interpretazione, le immagini smettono di essere singole immagini e assumono un nuovo senso sovra-strutturale, lette in relazione l’una con l’altra. Con in mano l’accusa di essere complice della scomparsa di Mr. Herbert, Mrs. Talmann costringe Mr. Neville a soddisfare i suoi piaceri anche con lei, oltre che con la madre.

La trama s’infittisce al punto che, dopo che viene ritrovato il cadavere di Mr. Herbert nel canale della villa, Mr. Talmann, geloso della moglie e indispettito dall’atteggiamento di Mr. Neville, lo accusa esplicitamente di essere il responsabile della morte del suocero. Così, assieme al suo segretario e ad altri membri della compagnia, acceca il pittore e lo uccide, gettandolo nel canale.

Mr. Neville realizza, poco prima di morire, di essere stato soltanto sfruttato come piccolo ingranaggio, in una macchina molto più grande di lui. Madre e figlia, infatti, hanno architettato la sua ‘condanna’ dopo avergli permesso di mettere incinta Mrs. Talmann, garantendo così una successione alla casata.

I misteri del giardino di Compton House Greenaway

In un impianto visivo sapientemente congegnato, ispirato ai grandi pittori del barocco secentesco, Greenaway riflette sul rapporto che intercorre tra la realtà e la sua rappresentazione. Mr. Neville, con il suo occhio attento e indiscreto, non ha timore di disegnare la realtà.

Se non che, disegnando gli scorci della casa, il pittore tratteggia anche le linee della classe sociale che quella casa possiede, che su quei luoghi esercita il proprio potere, il proprio dominio. E quando la società si mette alla ricerca dei colpevoli, per sanare i propri scandali, da essa stessa generati, non li cerca al suo interno, ma nella figura di chi quelle contraddizioni e quegli scandali ha evidenziato, rendendoli tangibili e quindi innegabili.

La realtà di per sé non è scandalosa, ma viene resa tale dal modo in cui si sceglie di rappresentarla. Così l’immagine, filtrata dalla mente d’artista, diventa nodo centrale non solo nel microcosmo di Compton House – in cui tutto sommato lo scandalo è un piccolo dramma familiare, ingigantito nel mondo-di-forma dell’alta società del Seicento – ma diventa anche una chiave di lettura per il reale estendibile alla società contemporanea, così come il disegno diventa metafora per il cinema, i limiti della cornice quelli dell’inquadratura, e così via.

I misteri del giardino di Compton House Greenaway

Solo in questo modo, I misteri del giardino di Compton House non è un film, ma molti film. È un piccolo trattato di morale politica e sociale, ma è anche una riflessione meta-cinematografica sul senso dell’immagine: ne glorifica la supremazia rispetto alla narrazione, alla trama, come in maniera diversa hanno cercato di fare alcuni tra i più decisivi e immaginifici registi del Novecento, da Godard a Pasolini, da Buñuel a Jodorowksy. E come tanti altri cercano ancora di fare.

Ma, d’altronde, è solo così, aprendo e chiudendo lo spiraglio della narrazione, osservando con rigore e metodo il mondo, che l’ispirazione è in grado di guidare l’occhio del regista, e il ritmo e il senso del montaggio danno senso a tutto il resto. Così nasce un piccolo capolavoro, che contiene altri capolavori e che, nel suo coacervo di riflessioni, è in grado di creare un tassello fondante e fondamentale all’interno di un sistema filosofico come quello cui Greenaway ha dato corpo tramite il suo cinema.

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