Luigi Ghirri

“Infinito. L’universo di Luigi Ghirri”: una fotografia familiare

Nel 1969 viene pubblicata da tutti i giornali, la fotografia scattata dalla navicella spaziale in viaggio per la Luna; questa era la prima fotografia del Mondo”.

Con questa frase, presa da Kodachrome[1] e pronunciata dalla magnifica voce di Stefano Accorsi, inizia il documentario su Luigi Ghirri.

L’immagine della Terra, vista dalla navicella spaziale, è una fotografia molto importante per l’artista: a partire da questo momento, e dall’emozione che questa foto ha suscitato in lui, parte la ricerca fotografica di Ghirri. La fotografia diventa uno strumento per guardare dentro il mondo, e oltre.

Nato a Scandiano – in provincia di Reggio Emilia – il 5 gennaio 1943, inizia a fotografare agli inizi degli anni Settanta. Il fermento culturale del decennio appena concluso e il fervore artistico della provincia emiliana di quegli anni, hanno sicuramente aiutato lo sviluppo di una personalità estremamente curiosa e desiderosa di conoscenza. Da grande intellettuale qual era, infatti, Ghirri concepiva la propria ricerca fotografica come un grande e appassionato progetto di ricerca espressiva.

Il fotografo reggiano, scomparso prematuramente il 14 febbraio 1992, è oggi riconosciuto internazionalmente come uno dei maestri della fotografia contemporanea.

L'universo di Luigi Ghirri

Il documentario di Matteo Parisini (Bologna, classe 1980), realizzato in collaborazione con l’Archivio Ghirri, è una sintesi molto delicata ed elegante sia dell’opera ghirriana, sia dell’artista-persona. Ghirri stesso diceva – e lo si sente anche nel documentario – di essere una persona prima che un fotografo. E il regista rispetta in pieno questo pensiero.

Nel documentario, infatti, vediamo solo una cerchia ristretta di figure vicine al fotografo, che raccontano di Ghirri artista ma anche – e soprattutto – di Luigi. Tra queste, sentiamo le testimonianze dei pittori Franco Guerzoni e Davide Benati, il fotografo e amico fraterno Gianni Leone, gli storici della fotografia e dell’arte Paolo Barbaro e Arturo Carlo Quintavalle, lo stampatore Arrigo Ghi, la sorella Roberta e la figlia Ilaria.

Gli home video, in cui Luigi è a volte protagonista e a volte artefice, sono il fil rouge del documentario. Spesso, infatti, accompagnano la successione di foto-opere di Ghirri, o servono a mostrare un determinato aspetto della sua ricerca. Significativo, per esempio, il video che ci mostra come Ghirri uscisse di casa con la sua attrezzatura per andare, ogni mattina, a fotografare il cielo che – secondo il fotografo – non era mai dello stesso azzurro.

L'infinito di Luigi Ghirri

“Fa delle foto così strane… però, non so perché, mi piacciono tantissimo. Mi toccano il cuore”. Questa è la risposta della moglie di Arrigo Ghi quando le ha chiesto cosa pensasse delle foto di Ghirri. E lui dice di provare lo stesso sentimento.

Il fascino dell’imprevisto, le mezze tinte, l’impercettibile agli occhi altrui: questo è quello che caratterizza le opere ghirriane e che, di riflesso, ci toccano il cuore. Ghirri afferma che il grande ruolo della fotografia è quello di rallentare la velocizzazione dei processi di lettura delle immagini. Ridurre il movimento fino all’estremo della sua sospensione.

La fotografia “rappresenta uno spazio di osservazione della realtà, o di un analogo della realtà, che ci permette ancora di vedere le cose”. In questa frase di Ghirri si coglie tutta la poetica del suo operato: Ghirri lotta affinchè si conservi la capacità di vedere, cerca di rieducare lo sguardo. Ghirri modifica la percezione del mondo senza indicare una strada da seguire: ci fornisce solo gli strumenti per trovare la soluzione dell’enigma.

Le fotografie di Ghirri non sono foto commerciali o pubblicitarie anzi, tutto il contrario. Per la maggior parte sono foto di ambito familiare, a volte giornalistiche, o da cartolina; si percepisce in modo esplicito un rifiuto per la distinzione dei generi fotografici, a favore invece del fotografico come aggregato di molte artificiose compartimentazioni[2].

Infinito L'universo di Luigi Ghirri

Ogni fotografia di Ghirri si pone come un’estrema linea di confine tra due mondi, separati ma adiacenti: il primo, frutto della visione; il secondo, nascosto al di là dei suoi confini. L’equilibrio sta nell’inquadratura, vista non come linea di demarcazione ma come punto di contatto tra le due parti.

Ghirri fotografa ciò per cui prova affetto. La sua è una sorta di fotografia familiare: i soggetti delle immagini che realizza appartengono al suo personale universo, come i paesaggi emiliani, o comunque soggetti che scatenano in lui uno stimolo intellettuale ma soprattutto emotivo. Soggetti semplici certo, estratti dai margini della cultura popolare, apparentemente privi di monumentalità, a cui però Ghirri accosta un pizzico di rigore e tenerezza, secondo la lezione di Walker Evans.

“Penso di essere un fotografo solo come seconda parte. Per la prima sono una persona. Come tale penso, e il pensiero è elemento fondamentale di quello che faccio”.


[1] Si tratta del primo libro autentico di Luigi Ghirri, dopo innumerevoli piccoli cataloghi di accompagnamento alle sue mostre fotografiche personali.

[2]Il mondo interno dall’esterno all’interno”, Francesco Zainot in Kodachrome di Luigi Ghirri, 1978

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Comments (

0

)

Blog su WordPress.com.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: