L’ultimo imperatore (The Last Emperor) è un film del 1987 scritto e diretto da Bernardo Bertolucci. Un vero e proprio kolossal che ha cambiato e svoltato completamente la carriera del regista italiano.
Il film di carattere epico-biografico racconta la storia di Pu Yi, colui che è stato l’ultimo imperatore cinese. Nel 1908, dopo la morte del precedente imperatore a causa di innumerevoli intrighi di potere, sale sul trono cinese un bambino che si ritrova ad essere sovrano in una cittadella, la Città Proibita, completamente isolata dal mondo esterno, in una condizione di lusso e potere, a capo di un’istituzione ormai sfrangiata dal tempo.
Più Pu Yi cresce, più il ruolo che ricopre diventa simbolico e svuotato di effettivo potere: il giovane imperatore si ritrova così ad essere sovrano soltanto della sua corte, ultimo esemplare di un ruolo ormai completamente anacronistico.
Il Kuomintang, in seguito, dopo aver preso il controllo del Paese lo costringe ad abbandonare la Città Proibita e dire addio anche al simbolismo legato ancora alla sua figura. Prima l’ormai ex imperatore si rifugia a Tientsin dove conduce una vita fatta di ricevimenti e tentativi di crearsi amicizie con importanti esponenti diplomatici. Poi viene corteggiato dal Giappone, il grande avversario della Cina, per stabilire il regno di Manchukuo in, appunto, Manciuria, sua terra natale, e poter essere così ancora sovrano.
Ben presto Pu Yi verrà fagocitato dall’inconsistenza dello stato fantoccio a cui è stato messo a campo e verrà arrestato dalla Repubblica Popolare Cinese che lo imprigionerà come nemico politico. Dal 1950 al 1959 viene rieducato in un campo di detenzione, per poi essere rilasciato e vivere una seconda vita fino alla morte del 1967.

Singolare e affascinante è la vicenda di Pu Yi per le innumerevoli sfaccettature storiche e psicologiche che contiene. Il destino di un uomo che in giovane età ha avuto in sorte di ricoprire un ruolo dalla sfavillante sacralità e che poi si è visto franare addosso la Storia.
La crudele sorte dell’ultimo imperatore è stata proprio questa: essere un uomo dal destino segnato. Un uomo che, dopo essere stato abituato agli sfarzi e agli agi, ha dovuto vivere il dramma dell’essere rifiutato, dimenticato e poi detenuto come il più normale degli uomini. Perché nascere imperatore e morire da civile (umile giardiniere, nel suo caso) è forse una delle parabole di vita più crudeli e beffarde.
Drammatica in questo senso è la scena finale in cui l’anziano Pu Yi torna nella Città Proibita e visita i luoghi in cui tanti anni prima si muoveva e viveva da imperatore. In mezzo ai due momenti il tempo è trascorso inesorabile e allora ci si può chiedere cosa possa passare nella mente di quel povero vecchio giardiniere. Forse, a distanza di tanto tempo, è più che lecito dubitare della reale esistenza di quella vita da imperatore: troppo lontana e sfumata nel tempo per sembrare ancora tangibile, o anche solo reale.

Ecco, Bertolucci svolge un lavoro straordinario a livello psicologico e visivo nel mettere sullo schermo il destino beffardo di quest’uomo. Ci riesce molto bene proprio perché il contrasto tra le due diverse vite del protagonista (prima e dopo la detenzione) vengono date da respiri e soprattutto da una fotografia nettamente diversa. Prima ariosa, sfarzosa, ricca e dai toni caldi; poi mestamente grigia, povera e umile. Nel passaggio dal primo momento al secondo c’è tutta la fragorosa rovina dell’esistenza di Pu Yi.
La straordinarietà di questa pellicola sta proprio nel saper trovare e dipanare con sapienza (spesso più con gli sguardi e i silenzi che con le parole) le pieghe della mente di un uomo che ha dovuto vivere una vita così singolare.
E quando una vicenda è così esemplare e così ben affrontata, lo spettatore non può che identificarsi e rivedere, in piccolo, anche la sua condizione in quella del protagonista. Interrogandosi quindi su quella che è una delle grandi variabili della vita: il Tempo e il suo trascorrere.
All’anziano Pu Yi, quando ritorna prima di morire nella Città Proibità, cosa rimane della sua vita da imperatore? Probabilmente poco: il ricordo sbiadito o, forse, solo il riflesso di un sogno.
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