Le otto montagne

“Le otto montagne”: conoscere sé stessi e il silenzio dell’amicizia

Le otto montagne (2022) è un film di Felix van Groeningen e Charlotte Vandermeersch – già autori dell’ottimo Beautiful Boy – tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti che ha vinto il premio Strega nel 2017.

Pietro (Luca Marinelli) fin da piccolo passa le sue estati in montagna con la famiglia. Insieme al padre Giovanni (Filippo Timi) va spesso a fare lunghe escursioni sviluppando un conflitto latente con la figura paterna. Ma sulla montagna conosce anche il coetaneo Bruno (Alessandro Borghi), un bambino nato e cresciuto sulla montagna, che dall’inizio fino alla fine del film sarà e vorrà essere un montanaro.

I due si vedono solo durante le estati, ma sviluppano un legame indissolubile. Mentre Pietro si allontana dalla famiglia, Bruno ci si avvicina e trova presso i genitori di Pietro delle persone pronte ad accoglierlo e volergli bene.

Dopo 15 anni, quando ormai sono trentenni, e dopo la morte di Giovanni, Pietro e Bruno si ritrovano per portare a termine una delle ultime volontà del padre di Pietro: costruire una casa in alta montagna che funga da rifugio. I due passano così tutta un’estate a costruire l’abitazione riscoprendo e dando nuova linfa alla loro amicizia e a un legame profondissimo che non verrà mai meno.

Poi Bruno proverà a gestire un alpeggio cercando di crearsi una famiglia, Pietro andrà alla ricerca della sua identità, ma alla fine la casa che hanno costruito insieme sarà sempre il loro punto d’incontro. La loro montagna vuol dire inequivocabilmente ritrovarsi.

Le otto montagne è uno dei rari casi in cui il film brilla per la fedeltà al romanzo; un romanzo scritto decisamente bene e dalla mirabile struttura emotiva. La pellicola dei registi belgi riesce molto bene nell’intento di restituire quelle sensazioni toccando tutte le delicate tematiche che il romanzo intendeva veicolare.

Un rapporto padre/figlio complesso e conflittuale che verrà risolto solo postumo, un uomo (Pietro) che cerca continuamente il suo posto nel mondo e che vive la duplicità di due anime all’interno della sua persona, un altro uomo (Bruno) che, nonostante provi a fare il contrario, non riesce a vivere se non da solo, insieme alla sua montagna. E quindi un’amicizia profonda, fatta di tanti gesti e pochissime parole, di sguardi più che di suoni, di presenza.

Proprio in questo il film mostra tutta la sua forza: nel restituire il silenzio della montagna e dell’amicizia tra Pietro e Bruno. I dialoghi sono pochi e scarni (ma densi di significato); tutto il resto viene lasciato alle immagini e alla fisicità dei personaggi.

Il film decolla lentamente nei primi 45 minuti, poi quando arrivano Borghi e Marinelli prende definitivamente il largo. Tutta la loro fisicità riempie la pellicola che trova nelle loro grandi prove attoriali la grande riuscita: Borghi si staglia decisamente nella figura dell’uomo burbero, buono ma selvaggio, testardo. Ma Marinelli, allo stesso modo, riesce a incarnare perfettamente, con la delicatezza e la solitudine dei suoi modi e del suo sguardo, la duplicità dell’anima di Pietro (su e giù dalla montagna).

La regia, poi, esalta al meglio la bravura dei due attori con un tocco che sa cogliere benissimo la mimica dei protagonisti, dando però sempre uno spazio centrale e decisivo alla montagna, vero collante dell’amicizia tra i due. Grande ruolo lo ricoprono anche le malinconiche musiche di Daniel Norgren e la fotografia che sa cogliere le divergenze fisiche e umane fra buio e luce.

Le otto montagne è un film per riscoprire il valore dell’amicizia e dello scoprire sé stessi. Per riscoprire il suono del silenzio e delle parole non dette. Un viaggio interiore che lo spettatore compie insieme ai protagonisti sullo schermo.

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