Cattive acque Haynes

“Cattive acque”: quando le padelle rischiano di avvelenare il mondo. Una lettura scientifica

Cattive acque, dal titolo originale Dark Waters, è l’ultima acclamata e discussa opera del regista Todd Haynes. Uscita nel 2019, rappresenta un punto di svolta per il regista, autore di varie pellicole dedicate ai costumi e alle proibizioni sociali americane, che per la prima volta si cimenta in un film di denuncia basato su fatti realmente accaduti e ancora molto attuali.

Cattive acque è la storia vera di un avvocato di Cincinnati, Robert Bilott, specializzato nella difesa di aziende chimiche, qui interpretato da Mark Ruffalo, oramai abituato a questo genere di ruoli dopo la performance nel pluripremiato Caso Spotlight. Bilott, su segnalazione di un allevatore del West Virginia, decise di intraprendere una causa contro l’azienda chimica DuPont, accusata di aver sparso sostanze chimiche tossiche nelle campagne del West Virginia ed avere, così, avvelenato non solo gli animali di quelle terre che morirono a centinaia, ma persino le persone che si trovarono a bere inconsapevolmente l’acqua inquinata.

È così che venne a galla uno dei più grandi scandali degli ultimi anni. The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare, titolò il New Tork Times nell’articolo del 2016 su cui si basa la sceneggiatura di questo film. I fatti risalgono al 1998, ma si sono protratti negli anni fino ad arrivare ai giorni nostri, quando ancora non si è arrivati a una definitiva conclusione.

Cattive Ac

Piuttosto che voler fare una recensione in senso stretto del film in questione, l’obiettivo di questa riflessione è entrare dentro gli argomenti trattati dalla pellicola riguardo i fatti veramente accaduti per poterne dare una lettura – speriamo interessante – dal punto di vista scientifico. Anche per sopperire a un semplice, ma doveroso, dovere di cronaca.

Quindi, innanzitutto, cos’è la DuPont? E’ una delle più importanti industrie chimiche, titolare di marchi e brevetti di numerosi processi chimici e materiali, fra cui il teflon. È su questo materiale che si concentra l’indagine di Bilott, dopo che dall’analisi delle sostanze presenti nelle campagne inquinate vennero trovati degli elementi chimici utilizzati per produrlo.

L’avvocato scoprì che queste sostanze non solo erano mortali per gli animali, ma erano pericolosissime anche per tutte le persone che erano venute a contatto con oggetti realizzati in teflon. E dove viene utilizzato il teflon? Ovunque. E’ in tappeti e tessuti resistenti alle macchie, in guarnizioni, elementi di odontoiatria, protesi e valvole cardiache, nei motori, nei lubrificanti, nei cavi elettrici e perfino nelle padelle di casa.

Proprio così; si scoprì che il materiale con cui erano fatte le stesse padelle con cui cuciniamo la maggior parte dei cibi sono potenziali cancerogeni per l’uomo. In realtà non tutte le padelle, solo quelle antiaderenti, poiché per permettere al cibo di cuocere più velocemente e senza attaccarsi, veniva e viene tutt’ora realizzato uno strato superficiale di teflon che entrando a contatto con il cibo ha per caratteristica questi benefici. Però, prima di allarmarsi e buttare via tutte le padelle di casa, cerchiamo di capire cos’è il teflon e cos’è che lo rende così pericoloso.

Partiamo dalla definizione di polimero: un polimero (dal greco “polýs méros”, letteralmente “che ha molte parti”) non è altro che una molecola costituita da una sorta di catena in cui si ripete più e più volte un certo schema, ovvero un certo legame chimico. Detto in maniera più tecnica, è una macromolecola formata da una serie di gruppi molecolari, chiamate unità ripetenti. Queste ultime coincidono con un monomero, da cui deriva il termine polimero, ovvero composto da più monomeri.

Ogni polimero, quindi, è caratterizzato da un certo monomero a cui corrisponde una certa unità ripetente e viene realizzato con un processo detto polimerizzazione. Vediamo un esempio molto comune. Tipicamente i tappi delle bottigliette d’acqua di “plastica” sono in realtà realizzati con un polimero, chiamato polietilene (PE, spesso sui tappi troviamo la sigla LDPE o HDPE, che corrispondo a un particolare tipo di polietilene). È il polimero più semplice, in quanto composto semplicemente da una catena di carbonio (C) e idrogeno (H). Il monomero da cui deriva si chiama etilene e l’unità ripetente è il gruppo H-C-H. 

Cattive

Allo stesso modo, un altro polimero, un po’ più complesso, che a sua volta viene comunemente chiamato plastica è il PET (polietilenetereftalato) utilizzato per realizzare le bottigliette di acqua (anche in questo caso molto spesso troviamo la sigla sul fondo della bottiglia).

Arriviamo, così, al teflon. Come si sarà potuto intuire, anche il teflon, nome commerciale del politetrafluoroetilene (simbolo chimico PTFE), è un polimero ottenuto per polimerizzazione del monomero tetrafluoroetilene.

Cattive Acque

Possiamo notare una notevole somiglianza con il polietilene, in quanto l’unica differenza è che al posto dell’idrogeno troviamo il fluoro (F). Come tutti gli altri polimeri, anche il teflon è un’innovazione molto recente. Fu, infatti, scoperto per caso nel 1938 tentando di creare un nuovo refrigerante e fu brevettato nel 1941. Fu realizzato per la prima volta dall’azienda americana DuPont e fu impiegato nella costruzione della prima bomba atomica del progetto Manhattan.

Alcune delle caratteristiche più importanti del teflon sono la totale inerzia chimica, ovvero l’impossibilità di essere aggredito dalla maggior parte dei composti chimici, la completa insolubilità nell’acqua e in qualsiasi solvente organico, ottime proprietà di scorrevolezza grazie ad una superficie particolarmente liscia e con un attrito molto basso, la resistenza a temperature molto alte, fino a 250°C, ed infine l’ottima antiaderenza, ovvero l’impossibilità di essere incollato da qualunque adesivo, proprietà che lo rende perfetto come superficie per la cottura dei cibi.

Senza analizzare nel dettaglio il processo di produzione del teflon, vediamo uno degli aspetti critici del polimero, messo in rilievo dallo stesso Robert Bilott nella causa contro la DuPont. Nel film, infatti, compare ripetutamente la sigla PFOA, in particolare quando vengono analizzate le presunte sostanze tossiche presenti nel terreno inquinato.

PFOA (acido perfluorootannoico) è un elemento chimico utilizzato per migliorare il processo di polimerizzazione del teflon. Dalle analisi effettuate negli ultimi anni, come viene mostrato anche nella parte conclusiva del film, è stata riscontrata una probabile correlazione fra l’esposizione al PFOA e alcuni tipi di malattie anche tumorali. Per capire quanto sia recente e ancora sconosciuto negli effetti questo nuovo materiale, basti pensare che prima di questa vicenda non erano mai state fatte analisi approfondite in questo senso e non era mai stata fornita una quantità limite utilizzabile di questa sostanza, tant’è che è sempre stata la DuPont ad autoregolarsi sulla base di dati che hanno raccolto e che non hai ancora mai fornito.

Solo dopo vari anni il comitato scientifico dell’Epa (agenzia di protezione ambientalista statunitense) chiese di cessare l’utilizzo del PFOA a DuPont e altre aziende. Ufficialmente DuPont ha dichiarato di aver eliminato quasi la totalmente il PFOA dalla sua produzione, tuttavia la questione è ancora aperta e non del tutto chiara. Per chi volesse approfondire le ultime vicende suggerisco questo articolo del 2020: https://creatoridifuturo.it/csr/greenwashing-pratiche-corruttive-e-bad-pratics/quanto-inquina-una-menzogna-la-brutta-storia-dietro-cattive-acque/.

C’è tuttavia un dato particolarmente significativo emerso dalle analisi recenti effettuate negli Stati Uniti: il PFOA è stato riscontrato nel sangue del 98% della popolazione generale degli Stati Uniti. Quasi sicuramente le proporzioni saranno le stesse in tutto il resto del mondo. Quindi, molto probabilmente, dentro ognuno di noi, all’interno del nostro sangue, è presente una quantità, seppur nella quasi totalità dei casi minima, di PFOA.

Quindi ci ammaleremo tutti? Utilizzare padelle antiaderenti fa venire i tumori? Dobbiamo smettere di usarle? No, non è così e la situazione è molto meno allarmante di quanto possa sembrare, a cominciare dalle padelle. Se ne viene fatto un uso corretto non sono assolutamente pericolose. Innanzitutto perché nelle padelle più recenti non dovrebbero più esserci tracce di PFOA e poi perché se si rispettano un paio di regole non c’è alcun pericolo che rilascino particelle di teflon.

In particolare, abbiamo accennato al fatto che il teflon resiste a temperature molto alte, fino 250°C circa, e, quindi, risulta ottimo per la cottura del cibo. Tuttavia, se si supera questa temperatura, si manifesta il processo di pirolisi del teflon, attraverso cui rilascia dei gas che possono essere dannosi per le persone. Tendenzialmente finché la padella viene usata per cuocere dei cibi è difficile che ci sia questo pericolo (la carne per esempio si cuoce poco sopra i 200°C), ma il problema si potrebbe presentare se viene lasciata da sola sotto l’azione della fiamma per molto tempo.

Un aspetto più importante sta, invece, nel rischio di ingerire particelle di teflon che si attaccano al cibo che cuciniamo e poi mangiamo. Questo può avvenire se la padella è particolarmente vecchia o se viene raschiata con elementi metallici come una forchetta o un cucchiaio. È, perciò, consigliabile mantenere un ambiente arieggiato mentre si cuoce sulla padella, buttare via quelle vecchie e/o rovinate e utilizzare materiali più teneri per lavorarci sopra.

È comunque importante sottolineare che le piccole parti di teflon che possono essere ingerite con i cibi non sono da considerare pericolose, perché non vengono né digerite né assorbite, ma semplicemente espulse dal nostro corpo, come avviene per molte altre sostanze dannose per il nostro organismo, ingerite come in questo caso o inalate come nel caso dello smog o del fumo senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

È perciò un tema molto delicato, ancora non del tutto risolto, ma che deve far riflettere su vari aspetti: dall’ossessione di certe industrie nel porre il profitto prima di qualunque altra cosa, dai pericoli che corriamo tutti i giorni derivanti anche semplicemente da abitudini sbagliate, fino alla pericolosità di un progresso tecnologico che viaggia a velocità tali che neppure gli enti che si dovrebbero occupare del monitoraggio della salute pubblica riescono a controllarlo.

Ma la cosa più preoccupante è che potenzialmente ogni giorno rischiamo di entrare in contatto con oggetti, sostanze, luoghi di cui ancora non abbiamo scoperto la pericolosità, e ce ne sono fin troppe di cose che ancora dobbiamo scoprire…

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Comments (

2

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  1. The Butcher

    Davvero un articolo interessante. Tempo fai ci feci una recensione in cui parlavano del lato tecnico, della sceneggiatura e di tutto ciò che portava alla luce questo film. Ammetto invece di aver trovato molto aggascinante il tuo approccio e di aver letto l’articolo con piacere.

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    1. Francesco Catalano

      Grazie, fa molto piacere! È un film che si presta a questo tipo di lettura e ci interessava esplorarla. Ovviamente anche l’aspetto tecnico del film è notevolissimo.

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