Good Time è un film del 2017 di Josh e Benny Safdie. Si tratta di uno di quegli ottimi prodotti che negli ultimi anni stanno popolando il cinema indipendente americano. Storie alternative e originali, messaggi provocatori e delicati, e regie estreme o sperimentali.
Il film segue i tentativi di Costantine “Connie” Nikas (Robert Pattinson), ragazzo con numerosi precedenti alle spalle, di fare uscire di prigione il fratello minore Nick (Benny Safdie) che è affetto da una disabilità dello sviluppo. Connie cercherà di farlo sia seguendo vie legali (andando alla ricerca in tutti i modi possibili del soldi della cauzione) oppure infrangendo la legge. Il film, allora, racconta i rocamboleschi e disperati tentativi dei due di recuperare dei soldi (attraverso rapine e altre modalità illegittime) e, successivamente, le mosse di Connie per cercare di liberare il fratello, nel frattempo tornato in prigione.
I personaggi fanno parte degli strati più bassi della società e il contesto in cui si muovono è fatto di violenza, droga e disagio. Un mondo in cui il fratello maggiore Costantine si trova perfettamente a suo agio e in cui Nick si deve adeguare (per lui Connie è un costante punto di riferimento benché i continui guai in cui finiscono gli fanno comprendere quanto, in realtà, possa essere pericoloso), anche se non mancano le situazioni in cui è evidentemente a disagio.

Alle spalle dei due fratelli c’è una famiglia assente e probabilmente distrutta o spezzata che ha lasciato, per sfortuna o meno, i due ragazzi allo sbando. Quello dipinto, quindi, è lo strato di società americana che vive nella condizione più difficili e che, di fatto, trae il proprio sostentamento dalla delinquenza. Per Connie l’unico modo per ottenere quello che vuole o che gli serve è infrangere la legge o aggirarla in qualche modo.
Questo contesto sociale viene reso al meglio dai fratelli Safdie attraverso una fotografia oscura come la moralità dei personaggi presenti sullo schermo, una regia dinamica e fatta di piani stretti in cui viene resa evidente tutta la corporalità dei personaggi, e una scenografia quanto più vicina al reale e quanto più lontana dall’artificioso.
Gran parte delle scelte registiche, infatti, assecondano la volontà di fare un film quanto più possibile vicino alla realtà. Molte scene, infatti, sono state girate senza preparare un vero e proprio set cinematografico e senza avvisare le comparse del fatto che si stesse realizzando un film; in questo modo hanno ottenuto delle reazioni strettamente reali da parte dei passanti – soprattutto per quando riguarda le scene di rapine o inseguimenti.

Inoltre, nessun attore, tranne i due principali, ha ricevuto un copione, ma solo una serie di indicazione sulle quali improvvisare. Anche i protagonisti, Pattinson e Safdie, sono stati invitati a improvvisare in diverse sequenze. Lo stesso Pattinson rimaneva nel personaggio anche dopo le riprese andando a mimetizzarsi nel contesto suburbano in cui la pellicola è ambientata.
Di fatto, proprio questa performance (oltre alle collaborazioni con David Cronenberg) ha lanciato, con merito, Pattinson come uno dei migliori attori della sua generazione e come uno dei nomi più importanti dell’attuale cinema americano.
Film che ha lanciato anche i fratelli Safdie per la loro originalità e per il coraggio nel saper raccontare storie che toccano tematiche e immagini che attingono a uno strato sociale basso e dimenticato, non risparmiando nulla allo spettatore. Con uno stile strettamente contiguo al reale: un intento che sarà mantenuto e sviluppato con maggiore consapevolezza e resa nel successivo Diamanti grezzi che gode di una sceneggiatura più strutturata e ricca rispetto a Good Time.
In ogni caso quest’ultimo si attesta come un ottimo film; una ventata d’aria fresca in un panorama a volte troppo asfittico.
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