Blonde

“Blonde”: il lato oscuro della vita di Marilyn Monroe

Blonde (2022) di Andrew Dominik è uno dei film più discussi e chiacchierati dell’ultima settimana e lo sarà ancora a lungo, forse per anni.

Inutile in questo caso fare una sinossi della trama. Si parla della vita di Marilyn Monroe; o per meglio dire di una parte della sua vita. Quella più oscura, quella che si è celata dietro l’abbagliante luce dei riflettori e che ha consumato ferocemente la celebre attrice fino alla prematura morte.

In questo senso vanno letti anche gli intenti del film. Non si tratta di un biopic e non vuole esserlo, per cui sarebbe ingiusto aspettarsi che lo sia. A riguardo si è parlato anche di film horror, anche se forse il genere che più si avvicina alla pellicola in questione è quello di thriller psicologico.

Perché effettivamente Blonde è una visione disturbante e profondamente angosciante per tutti i 167 minuti. Si può dire che quella dello spettatore sia una lente ma costante discesa negli inferi di Norma Jean Mortenson, la ragazza che sta dietro al personaggio creato a tavolino di Marilyn Monroe.

Di fatto Blonde è un film su Norma Jeane, non su Marilyn. E allora Dominik non risparmia veramente nulla al pubblico: dall’infanzia drammatica insieme a una madre psicopatica unita all’assenza di un padre che non si è mai palesato, fino all’ingresso nel mondo del cinema dove il suo corpo viene strumentalizzato e completamente sessualizzato, la sofferenza per la sessualizzazione che la coinvolge, le difficoltà legate alle sue relazioni e matrimoni, e quindi il trauma lacerante dell’aborto insieme al complesso rapporto con la gravidanza. Tutto queste cose in un calderone torbido attraverso cui più si va avanti più si comprende che è impossibile uscirne; si può solo esserne risucchiati.

Blonde

Se la prima ora e mezza è preparatoria, se così si vuol dire, la seconda parte del film è sicuramente una caduta verticale nel baratro mentale che ormai è la vita di Norma Jeane. Il corpo nudo e indifeso di Marilyn, che il regista fa vedere numerose volte, definisce tutta l’indifesa nudità davanti alla vita che la protagonista prova. Allo stesso modo il suo volto sempre più stravolto, confuso, annebbiato e fuori dal mondo è segno incontrovertibile di un disagio profondo che non può che condurre Norma Jeane all’autodistruzione. Una serie di traumi più segnanti dell’altro che, invece di risolversi, si accumulano e straziano corpo e anima del personaggio fino a bruciare anche tutto quello che le passa accanto (compreso il marito Arthur Miller – interpretato da un centrato Adrien Brody – che tra i partner è sicuramente il più comprensivo e a lei vicino).

Del succo del film si potrebbe dire molto altro, ma forse quanto detto può essere abbastanza. Che dire invece della realizzazione tecnica della pellicola? A essere onesti, è veramente difficile trarre delle considerazione precise e nette. Le opinioni a riguardo sono delle più contrastanti e, in effetti, non è semplice arrivare ad una conclusione.

La sceneggiatura si muove per grandi salti narrativi e non si cura mai di spiegare quello che racconta, ma questo, a ben vedere, è l’obiettivo di questo film: non raccontare una storia in modo lineare ma tuffarsi dentro un trauma psichico, non dare punti di riferimento ma solo tanti punti di rottura.

Blonde

In questo senso va anche la regia dinamica e altamente originale di Andrew Dominik che sfrutta tutte le possibilità offerte dalla macchina da presa per entrare dentro la psiche della protagonista. In questo senso il lavoro fatto dal regista è notevole. Sulla durata si può eccepire: soprattutto nella prima parte l’impressione è che almeno 20 minuti avrebbero potuto essere tagliati. Ma, per il resto, il lavoro fatto è stato più che buono, al netto di un budget a disposizione quasi faraonico.

Più opinabile, invece, l’alternanza tra l’uso del bianco e nero e del colore, e l’uso di formati d’immagine diversi. Molto avvincenti le scelte di montaggio. Se ne cita uno per esempio: l’uso dell’overlapping editing che, quando usato, mantiene un fascino decisamente importante. Grande lavoro, poi, per quanto riguarda i costumi e la colonna sonora (ma del resto la presenza di Nick Cave non poteva presupporre altro).

E la recitazione di Ana de Armas? Straziante e bellissima. Non vengono in mente altri aggettivi. La giovane attrice aveva dato già prova della sua bravura, ma qui si è superata ampiamente con una prova attoriale che sembra uscita dall’Actors Studio.

Difficile dire quale sarà negli anni avvenire la considerazione di Blonde. Un grande film d’autore? Probabilmente sì. Per chi scrive è decisamente un buon film, se può essere qualcosa di più lo diranno gli anni e le visioni successive.

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