Ovosodo Virzì

“Ovosodo”: un film di formazione tra illusioni e realtà

Ovosodo è un film del 1997 di Paolo Virzì. Un film che si può dire generazionale e che è l’omaggio puro del regista livornese alla sua città.

Ovosodo era banalmente, oltre alla metafora che chiude la visione del film, uno dei rioni più poveri di Livorno. Il rione in cui vive il protagonista Piero Mansani (Edoardo Gabbriellini), ragazzo dallo sguardo attonito e perplesso, orfano di madre fin dalla giovane età con un padre che fa dentro-fuori dalla prigione e un fratello maggiore autistico.

Piero è un ragazzo diverso dagli altri giovani del suo quartiere: è un sognatore. E questa sua caratteristica viene alimentata dalla professoressa Giovanna, interpretata da Nicoletta Braschi. Quest’ultima incoraggia la passione di Piero per le lettere facendolo iscrivere a uno dei migliori licei della provincia. Qui Piero dà fin da subito ottimi risultati finché non conosce all’ultimo anno Tommaso, un ragazzo fuori dagli schemi, imprevedibile e libertino.

L’incontro con Tommaso cambia la vita di Piero, nel bene e nel male. Scopre il gusto per l’avventura, per il rischio; scopre l’amore, la delusione e la sofferenza. Insomma, con tutti gli impedimenti del caso, si fa adulto e scopre quindi quella che semplicisticamente si può definire la “vita reale”.

Come per la letteratura si parla di bildungsroman o romanzo di formazione, in questo caso si può parlare di “film di formazione“. La pellicola, infatti, ricopre gli anni dell’adolescenza e della maturità di Piero seguendo tutto il suo percorso di crescita dall’età dell’innocenza fino allo scontro/confronto con la durezza della vita adulta.

Il film in questione è un lavoro profondamente degli anni ’90, come ce ne sono altri di questo tipo, con il regista intento a scavare all’interno delle proprie origini e dei propri luoghi natali con affetto e senza incanto.

Virzì lo fa sfruttando una sceneggiatura molto ben scritta che riesce a raccontare con accuratezza e con scelte narrative corrette i momenti giusti della vita di Piero per raccontarne il passaggio da ragazzo a uomo. La regia, tenendo conto della ristrettezza del budget a disposizione, si limita a seguire i dettami della sceneggiatura senza mai intervenire in modo evidente.

Ovosodo è un film godibilissimo sia perché è un film riuscito sia perché, con le dovute eccezioni, racconta l’adolescenza di molti altri ragazzi italiani. E, in qualche modo, fa rivivere allo spettatore quel particolare momento della vita.

Per di più, sdogana il fatto che, a volte, non riuscire a realizzare i propri sogni non voglia dire aver fallito. Anzi, spesso una vita più umile ma ricca di affetto può essere il compromesso migliore tra sogni e realtà.

In questo senso di grande efficacia è la metafora finale dell’ovosodo. Piero nelle ultime immagini è felice, nonostante la sua vita non sia quella che si aspettava. E questa distanza rispetto a quello che erano le sue aspettative è come un uovo sodo che è rimasto bloccato in gola, che non riesce né a scendere né a salire. Ma prima o poi ci si fa l’abitudine e diventa quasi un gradito compagno di vita.

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