Crimes of the Future (2022) è l’ultimo film di David Cronenberg. Presentato al Festival di Cannes di quest’anno è uscito ben otto anni dopo l’ultimo lavoro del regista canadese, Maps to the Stars.
E’ un film che sancisce il grande ritorno di Cronenberg sul grande schermo e il suo ritorno alla science fiction e al body horror, i due generi che il regista di Toronto ha sempre magistralmente unito insieme e che sono inscindibilmente il suo marchio di fabbrica.
Crimes of the Future è ambientato in un imprecisato futuro dalle tinte lugubri e oscure. In questa nuova epoca alcuni essere umani stanno subendo delle mutazione genetiche che portano alla formazione di nuovi e sconosciuti organi all’interno dei corpi con conseguenze inimmaginabili sull’essere umano. Saul Tenser (Viggo Mortensen) è uno degli individui il cui corpo sta subendo queste mutazioni; tuttavia Saul non vuole che questi nuovi organi prendano possesso del suo corpo per cui li esporta continuamente anche se il ritmo a cui questi organi si presentano e si riproducono diventa sempre più alto e preoccupante.

Saul sfrutta la necessità di rimuovere questi organi per fare della rimozione stessa come operazione chirurgica una performance artistica. La sua assistente Caprice (Lea Seydoux), infatti, è una chirurga che si occupa di queste operazioni (con macchinari sofisticati e all’avanguardia) collaborando all’intento artistico di Saul. E facendogli da assistente nella vita di tutti i giorni poiché queste continue mutazioni e asportazioni indeboliscono fisicamente Saul in modo vistoso.
Intanto la comparsa di organi diventa sempre più frequente e quindi questi ultimi devono essere regolamentati da un ente predisposto, coordinato da Timlin (Kristen Stewart). Tutto questo unito al fatto che il corpo umano ha quasi eliminato del tutto la percezione del dolore creando i presupposti per scenari violenti e incontrollabili. Le stesse performance di asportazione degli organi messe in scena da Saul e Caprice non sono più solo finalizzate al fine medico e artistico, ma riscoprono anche una dimensione del dolore come fonte di piacere.
Cronenberg riesce a mettere insieme tutte queste cose e, come al solito, il risultato è di grande impatto visivo e riflessivo. Il ritorno alla science fiction pone in evidenza delle questioni di grande impatto morale. Il protagonista si ribella alla formazione spontanea dei nuovi organi nel suo corpo, ma non tutti sono dello stesso avviso. Secondo una fazione più radicale questi organi sono un dono che va preservato e tramandato ai posteri: un nuovo ponte verso il futuro che trasporterà l’essere umano a qualcosa di completamente diverso ed evoluto. Questi organi, per esempio, sono in grado di digerire la plastica o qualsiasi altro elemento inorganico: un aspetto che cambierebbe drasticamente la vita dell’uomo e che, probabilmente, lo ucciderebbe trasformandolo in qualche essere di natura completamente diversa. Questo rischio Saul lo intravede molto bene e allora cerca in tutti i modi di mantenere una dose di umanità, nonostante questo significhi andare controcorrente e soffrire fisicamente.

Questa riflessione si unisce magistralmente al body horror. Lacerazioni, tagli, asportazioni: la chirurgia che diventa nuovo sesso. Il fatto che la soglia del dolore sia quasi scomparsa porta gli esseri umani a sperimentare e trovare nuove fonti di piacere; un nuovo tipo di sesso. “Chirurgy is the new sex” dice Timlin: questa è nel film la nuova frontiera del piacere per l’uomo. La lacerazione del corpo come nuovo e irresistibile sesso.
Non manca anche una riflessione sull’Arte. Il film, infatti, sostiene con decisione che anche un’operazione chirurgica può essere arte. Un’affermazione molto forte, ma che non ci stupisce viste le derive concettuali che il movimento artistico sta prendendo. Tra le tante questa tematica probabilmente è quella toccata meno, tuttavia merita più di una menzione per la sua stretta attualità.
Come detto, è incredibile come Cronenberg riesca a tenere insieme tutte queste cose. La sceneggiatura non è immacolata: qualche perplessità rimane sul tema del controspionaggio di Saul, su alcune linee secondarie e sulla costruzione del personaggio di Timlin, per esempio. Tuttavia riuscire a trattare riflessioni così delicate e visionarie con la giusta dose di narratività era impresa veramente ardua e il regista canadese se la cava benissimo, dimostrando ancora una volta di essere uno dei grandi Autori della storia del cinema.
Oltre a ciò la scelta di utilizzare una fotografia dalle tinte scurissime e delle scenografie spoglie e lugubri (tutto il film è stato girato in un magazzino!) restituisce un futuro la cui prospettiva sembra essere molto cupa e preoccupante. Una sensazione di disagio resa benissimo anche dalla colonna sonora di Edward Shore – storico collaboratore di Cronenberg che non ha partecipato solamente a La zona morta.

Inoltre, ipnotica e tenebrosa è la prova attoriale di Viggo Mortensen. La sua partecipazione al film era fortemente a rischio per un incidente che ne limitava in modo invasivo la locomozione. Nonostante tutto, Mortensen ha fatto di tutto per esserci e la sua limitata mobilità (nella quasi totalità delle scene è seduto, steso o in ginocchio) rende il suo personaggio ancora più interessante e misterioso.
Crimes of the Future è un’opera decisamente riuscita che ci riporta indietro quel David Cronenberg che, fin dai suoi esordi, aveva scioccato il pubblico con il grande impatto visivo delle sue pellicole unitamente alle profonde riflessioni sociali e morali trattate.
In quest’ultimo film il regista canadese ritrova tutto questo riuscendo a ritoccare in più punti le vette di Videodrome e Crash, soltanto per citare qualche esempio direttamente coinvolto.
Se Crimes of the Future non è un capolavoro, poco ci manca. Il discrimine, probabilmente, è solo il gusto personale. In un mercato inflazionato da prodotti standard fatti con lo stampino, poter vedere al cinema un’opera così personale e profonda come l’ultima di Cronenberg è una boccata d’aria fresca.
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