Lo scafandro e la farfalla

“Lo scafandro e la farfalla”: rimanere fortemente attaccati alla vita, nonostante tutto

Lo scafandro e la farfalla (Le scaphandre et le papillon) è un film del 2007 di Julian Schnabel. La pellicola ha avuto un ottimo successo di pubblico e di critica: ha vinto il premio per la miglior regia a Cannes, miglior film straniero e miglior regia ai Golden Globes e quattro nomination agli Oscar (miglior regia, miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio, miglior fotografia).

Jean-Dominique Bauby (Mathieu Amalric) è il caporedattore di successo di una rivista francese; all’età di 43 anni viene colpito da un ictus fulmineo. Dopo tre settimane di coma si risveglia, ma scopre di essere completamente paralizzato con nemmeno la possibilità di parlare (gode solo della vista e dell’udito). Il solo modo che ha di comunicare con gli altri è attraverso il movimento della palpebra sinistra (l’occhio destro è stato cucito perché non più funzionante).

Dopo un periodo iniziale di totale sconforto, Jean-Dominique decide di combattere e di vivere con tutte le forze che gli è possibile mettere in gioco. Accoglie le visite dei figli, della ex moglie e di chiunque voglia andare a trovarlo. Jean-Dominique può anche comunicare con gli altri: un’infermiera gli legge un particolare alfabeto francese che segue l’ordine di frequenza delle lettere e ogni volta che vuole selezionare una lettera, il protagonista deve sbattere la palpebra. Così, seppur molto lentamente, riesce a comporre parole e frasi finché decide di voler scrivere un romanzo che racconti la sua esperienza e che possa dare libero sfogo alla sua immaginazione.

Lo scafandro e la farfalla

Lo scafandro e la farfalla non è una visione semplice. Non lo è perché è profondamente straziante e provante, nonostante il messaggio di speranza che il film vuole trasmettere. Ma davanti alla crudeltà davanti a cui, in certi casi, la vita ci pone è difficilissimo trovare sempre un motivo per cui combattere. Jean-Dominique lo fa con una forza estrema, ma l’immensa sfortuna che lo ha colpito non riesce mai ad abbandonare il pensiero dello spettatore.

Eppure lui ce l’ha fatta ad andare avanti. E quindi alla fine dei 107 minuti di film non si può che fare un sorriso, per quanto tirato e sbilenco, e pensare a quanto si è fortunati e quanto spesso si esageri con i lamenti quotidiani. Schnabel e il romanzo autobiografico da cui è tratto questo film ci insegnano proprio questo: non dimenticare di ricordare le fortune che ci circondano e di amare le persone che ci vogliono bene.

La grande forza emotiva di questo film risiede anche in una regia davvero ispirata. Prima di tutto ci trasporta in un clima di intimità e malinconica fatto di silenzi profondi e sguardi penetranti con i quali è difficile non entrare in sintonia lasciandosi quindi andare. Poi, la grande trovata del regista è quella di realizzare gran parte del film in soggettiva: per lunghi tratti di pellicola, quindi, noi siamo l’occhio del protagonista e vediamo esattamente quello che vede lui. Ovvero solo la porzione di spazio direttamente antistante il nostro occhio sinistro. E allora viene naturale (e questo è l’obiettivo del regista) calarsi fin da subito nei panni di Jean-Dominque, per quanto possibile.

Così viviamo in parte le sue difficoltà, la sua frustrazione e il suo dolore. Tutta la sofferenza vissuta dal protagonista, in questo modo, viene raccolta automaticamente dallo spettatore che si sente quasi in simbiosi col personaggio interpretato da un Amalric che si dimostra uno dei migliori attori francesi della sua generazione. Straziante, in questo senso, è la scena con cui l’ultranovantenne padre si mette in contatto telefonicamente con lui e scoppia in lacrime nella tragicità della situazione. Un padre che compare per pochi minuti, ma che viene magistralmente interpretato da Max von Sydow.

Poi tutto funziona per la presenza di una sceneggiatura molto solida e ben orchestrata. Insieme a una fotografia che sa assumere molte forme diverse giocando tra la ristrettezza della visione in soggettiva e i momenti in cui l’occhio del protagonista può vedere le cose solo in modo sfocato. Una sinergia tra strumenti cinematografici che si eleva a livelli davvero alti.

Lo scafandro e la farfalla è quello che si può dire un film decisamente riuscito. Che riesce in quel primigenio intento cinematografico che intende trasmettere un’emozione allo spettatore. E se c’è un film che prova in tutti i modi a rompere la cosiddetta quarta parete è proprio questo. Toccante, lacerante e intenso.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un’icona per effettuare l’accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s…

Comments (

0

)

Blog su WordPress.com.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: