RoGoPaG è un celebre film a episodi del 1963. La pellicola fu fortemente voluta dal produttore Alfredo Bini che riuscì a riunire insieme Roberto Rossellini, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini e Ugo Gregoretti. Tre di questi nomi sono italiani e uno è francese – di relativo peso tra l’altro: interessante è il modo in cui l’autore francese è entrato a far parte del progetto.
Alla domanda su chi fossero i suoi modelli Godard non dava mai nomi precisi; tranne uno: Rossellini. Alla mostra del cinema di Venezia del 1962 incontra Alfredo Bini che, facendo leva su questa sua predilezione, gli offre di partecipare a questo film a episodi. Godard accetta senza pensarci un secondo e realizza il suo mediometraggio (o, per meglio dire, cortometraggio: infatti dura 20 minuti ed è il più breve dei quattro) in tempo record.
I quattro episodi, come d’accordo, girano attorno al tema dell’alienazione dell’uomo nel secondo Dopoguerra e, in particolare, nel periodo coevo alla realizzazione del film.

Il primo episodio è Illibatezza di Rossellini. Una hostess italiana viene insistentemente corteggiata da un turista straniero che, pur di rimanere con lei, continuerà ad amare la sua immagine registrata con una cinepresa. Dei quattro questo sembra l’episodio meno ispirato e meno convincente. S’inserisce in un periodo difficile dal punto di vista creativo per Rossellini e, in parte, conferma la tendenza. Sarà l’ultimo film degli anni Sessanta del regista romano: ne realizzerà poi solo altri due per il grande schermo negli anni Settanta.
Jean-Luc Godard firma invece Il nuovo mondo. Un’esplosione atomica ha effetti bizzarri sulla popolazione parigina cambiando l’umore e i valori morali di alcune persone e lasciandone incolume altre. Per questo motivo un marito non riconosce più la moglie che ha comportamenti sempre più incomprensibili.
Godard inizia con questo lavoro a entrare nel mondo della fantascienza (anche se, di fatto, in questo caso molto latamente) che poi esplorerà decisamente con Agente Lemmy Caution: missione Alphaville. Anche in questo caso il tocco di Godard si vede: nella delicatezza dei dialoghi, nelle tonalità del bianco e nero della fotografia e nello stile registico. L’unico rammarico è per una storia che poteva avere ben altra estensione.

Poi c’è l’episodio di Pasolini, La ricotta. Dei quattro è nettamente il migliore per la densità dei contenuti e per la qualità della creazione visiva. Nella campagna romana un regista (Orson Welles) sta girando più variazioni della Passione di Cristo; Stracci è la comparsa che interpreta il ladrone buono. Stracci regala il suo cestino alla famiglia e poi non ha nulla da mangiare per sé; quindi va in cerca disperata di qualcosa da mangiare riuscendo in qualche modo a comprare delle forme di ricotta che riuscirà a mangiare solo alla fine dell’episodio al termine di una serie di peripezie.
Pasolini racconta la vicenda di un poveraccio mostrando con vividezza la tragicità della sua vita e del suo “lavoro”. Intanto, però, mette sul grande schermo due quadri artistici iconici come la Deposizione dalla croce di Rosso Fiorentino e il Trasporto di Cristo di Pontormo. E lo fa in modo strepitoso restituendo la potenza espressiva di quei quadri con un uso magistrale della messa in scena aggiungendo a tutto ciò anche l’umorismo. L’alternanza fra la vicenda di Stracci e la visione di questi quadri artistici è segnata dall’alternanza fra il bianco e nero e i colori.
A tutto questo si aggiunge la figura del regista interpretata dall’imponente Orson Welles la cui intervista laconica all’interno del film risuona ancora oggi, essendo di fatto diventata un cult. Pasolini fonde così insieme idee diverse, scenari diversi e registri linguistici e poetici differenti creando un’opera artistica dal livello elevatissimo. La ricotta è senza dubbio un piccolo capolavoro.

Chiude questa rassegna l’episodio Il pollo ruspante di Ugo Gregoretti. E’ il regista meno conosciuto dei quattro; tuttavia riesce a realizzare un episodio tutt’altro che inferiore. Viene mostrata una famiglia e, in particolare, un padre di famiglia (interpretato da un bravissimo Ugo Tognazzi) vittime del consumismo. Quest’ultimo è stato uno dei grandi temi sociali del secondo Novecento e Gregoretti, senza pesantezza e con efficacia, riesce a comunicare al meglio l’alienazione dell’uomo medio degli anni Sessanta rispetto al prodotto.
RoGoPaG, quindi, si può definire un’opera di grande successo. E’ sempre interessante notare come dei grandi autori riescano a essere incisivi anche con pochi minuti a disposizione, senza bisogno di chissà quale produzione alle spalle. Oggi questo tipo di lavoro, ossia un film a episodi, non è più in voga ed è un peccato perché potrebbe essere un’iniziativa altrettanto interessante e probante per i registi della nostra epoca che potrebbero parteciparvi.
RoGoPaG, in questo senso, è anche un manifesto della grande qualità cinematografica che circolava in Europa, e in Francia e Italia nello specifico, negli anni Sessanta. Una qualità davvero altissima.
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