Detachment

“Detachment”: lo sguardo depresso e gentile di Brody su una società marcia e violenta

Detachment è un film del 2011 del regista Tony Kaye. Un nome che può ricordare qualcosa a qualcuno; e non a torto, perché effettivamente è il regista di un altro grande film come American History X (1998). Un peccato che abbia realizzato solo due film di spessore in mezzo a tante altre produzioni nettamente minori. Sì, perché Detachment è veramente un grande film: di quelli che ha raccolto anche troppo poco, ma che si staglia per la sua grandissima forza emotiva.

Henry (Adrien Brody) è un supplente che si ritrova a dover insegnare in una scuola dalla cattiva fama in cui gli studenti sono irrispettosi, violenti e sbandati. Henry è un personaggio profondamente triste (il suo sguardo perso nel vuoto è una costante della pellicola) che guarda alla vita in modo cinico e disilluso: proprio perché sa che la vita è poco altro oltre al dolore e alla sofferenza cerca di aiutare il prossimo per quanto gli è possibile senza rinunciare a dei sani e imprescindibili valori morali.

Aiuta una giovane prostituta, Erica, a rimettersi in sesto curandola e ospitandola a casa sua; cerca di aiutare gli studenti più fragili e indifesi dalle angherie dei compagni più violenti; è l’unico riferimento per il nonno malato che si trova in una casa di cura, e così via. Tutto, però, dietro a un volto che non conosce altre emozioni oltre alla tristezza: non vedremo quasi mai Henry sorridere. La vita gli ha insegnato fin da piccolo che vivere è soffrire – in questo senso emblematici sono i flashback distorti e ansiogeni che riguardano il suo trauma infantile legato alla morte della madre – e quindi tutto quello che fa di buono (il suo è un personaggio buono e gentile come dirà anche Erica: non c’è mai un momento in cui lo spettatore può pensare il contrario) lo fa sempre con addosso la consapevolezza che si tratta di un palliativo.

Adrien Brody, allora, sembra proprio l’attore perfetto per interpretare il personaggio di Henry e, infatti, regala una delle sue prove attoriali migliori insieme a Il Pianista. Lo sguardo disilluso rispetto alla vita si unisce perfettamente a una mimica sicura: Henry è depresso, ma questo non significa che sia debole: è un uomo forte e rigido, tanto quanto buono, perché sa che bisogna essere tali se non si vuole evitare di farsi schiacciare o assorbire da quel maelstrom in cui si rischia sempre di essere inghiottiti.

Non si è citato casualmente il maelstrom, luogo fisico ma anche mentale uscito dalla penna di Edgar Allan Poe. Come altri luoghi inquietanti creati dallo scrittore di Baltimora si tratta, oltre che di un luogo fisico, anche di uno stato d’animo. Henry, durante il film, parlerà dell’aspetto diroccato e angoscianti della casa degli Usher: una casa che simboleggia la decadenza attraverso gli occhi di chi la vede. Quella decadenza che è lo stato d’animo dello stesso Henry e di molti come lui.

Tutto il film è permeato da questo fortissimo senso di decomposizione con la consapevolezza che, in ogni caso, l’epilogo personale o collettivo sarà triste. Il merito della grande riuscita di questo lavoro va alla regia di Kaye che incide profondamente sotto la pelle del pubblico. Primi piani stretti (il volto scavato di Brody è il manifesto del messaggio del film), l’alternare la narrazione a degli schizzi d’animazione disegnati su una lavagna, l’uso sontuoso delle musiche che accompagnano le mosse del protagonista, un montaggio che alterna momenti frenetici ad altri molto più dilatati come se si seguisse l’andamento del respiro, e molte altre cose.

Detachment

Non manca poi una fortissima critica verso una società sempre meno in grado di dare la giusta guida a dei giovani che sembrano sempre più spaesati e quindi irascibili, depressi e, a volte, violenti. La colpa non è nemmeno nei professori (bella anche la prova attoriale di James Caan: professore che combatte l’arroganza giovanile con un forte e caustico senso dell’umorismo), ma di un sistema che è marcio dalle fondamenta, che ha smarrito i valori su cui si è costruito. Un sistema che può portare i ragazzi alla violenza, alla depressione o anche alla prostituzione.

In tutto questo non manca qualche momento che riesce a strappare qualche pezzo di speranza dal grigiore permeante: l’abbraccio tra Henry ed Erica è bellissimo. Ma è una speranza abbastanza robusta a cui appigliarsi?

Detachment è un film che ti entra sotto la pelle e che ti lascia uno stato d’animo preciso dopo la visione. Tutti sintomi che capitano quando si parla di un film ben realizzato. Detachment lo è e forse è anche qualcosa di più. Vederlo è decisamente un’esperienza sensoriale e, perché no, riflessiva: quello che accade sullo schermo non è lontano da quello che accade nei nostri paraggi. Il film ci suggerisce come le cose potrebbe andare e come potrebbero, ma non dovrebbero, finire.

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