Tirate sul pianista Truffaut

“Tirate sul pianista”: un noir sentimentale alla Truffaut, guardando a Hitchcock

Tirate sul pianista (Tirez sur le pianiste) è un film del 1960 del celebre regista François Truffaut realizzato in mezzo a due capolavori come I quattrocento colpi e Jules e Jim. Ma non è di certo quello che si può dire un film di valore inferiore: anzi, i motivi per cui recuperarlo sono tanti visti i risultati ottenuti dal regista francese con lo scarso budget di cui disponeva.

Charlie (Charles Aznavour) è il silenzioso pianista di un bistrot parigino: la sua tranquillità, però, viene travolta dal fratello che è inseguito da due gangster. Nel frattempo Charles viene corteggiato dalla bella Lena verso cui il pianista ricambia un reale sentimento. Innamorarsi di Lena, tuttavia, farà tornare a galla il passato di Charlie, o meglio di Eduard Saroyan, famoso pianista il cui precedente matrimonio è finito tragicamente. Nonostante la timidezza e la ritrosia, Charlie ritrova l’amore con Lena, ma dovrà fare i conti col proprietario del bistrot in cui lavorava (anche lui innamorato di Lena) e con i gangster che continuano a cercare suo fratello mettendo in pericolo l’intera famiglia.

Sappiamo come gli anni Sessanta siano all’insegna dello sperimentalismo per gli autori della Nouvelle Vague e questo film si inserisce pienamente in questo discorso. Truffaut decide di realizzare un film che appartenga al genere del noir ammiccando e guardando scopertamente a due suoi grandi modelli come Alfred Hitchcock e Orson Welles. E’ nota la fascinazione che l’autore inglese produceva su Truffaut e anche il rapporto poi nato fra i due: questa pellicola si può intendere anche come una sorta di omaggio, in questo senso.

E la volontà di realizzare un noir si nota da numerose scelte registiche: dall’utilizzo di certi stilemi linguistici e soprattutto dall’uso della luce (dominano toni molto scuri), sapientemente modulata da un grande direttore della fotografia come Raoul Coutard.

Insomma, ci sono davvero tutti gli elementi per avere un gangster movie. E, di fatti, il film lo è, ma solo in piccola parte: alla fine della visione, infatti, l’impressione è che l’atmosfera noir sia solo lo sfondo di tutta la vicenda e che alla fine il tocco di Truffaut prenda il sopravvento mandando le cose in una direzione nettamente diversa.

Soprattutto a partire dal flashback che racconta il passato di Charlie, il film prende una piega sentimentale, diventando il racconto della vita del protagonista con l’intenzione di entrare dentro la sua interiorità e, quindi, la sua timidezza. Per un ampio lasso di minuti lo spettatore si dimentica che fino a poco prima stava guardando un noir e se ne ricorda solo nel finale dove tutto si conclude con una sparatoria che tira le fila della storia: ma, a ben vedere, la storia che Truffaut voleva raccontare era già finita prima.

Tirate sul pianista

Il fatto che il noir sia solo uno specchietto per le allodole lo dimostra anche il modo in cui vengono ritratti i due gangster: goffi e sconclusionati. La vera storia del film è quella del pianista, quella di Charlie.

Ovvero quella di un uomo che soffre di una fortissima timidezza, un uomo insicuro che ha avuto una parentesi di successo nella vita la quale, però, gli si è ritorta contro portando attorno a lui dolore e sofferenza. Per questo ha scelto poi di tornare nell’anonimato e richiudersi nel suo mondo interiore. Un mondo che Lena prova e riesce a riaprire: almeno per qualche momento.

Notoriamente lo stesso Truffaut soffriva di una forte timidezza; e allora dietro al volto di Charles Aznavour non è difficile vedere quello del regista. In questo senso molto interessante è la scelta praticata con frequenza di fermare per alcuni istanti la narrazione per dare la parola alla voce fuoricampo del protagonista che riflette sul da farsi in mezzo alle situazioni critiche in cui si ritrova. In questo modo lo spettatore entra nella mente di Charlie come una sorta di narratore – o, in questo caso, spettatore – onnisciente.

Per tutte queste cose e per molte altre Tirate sul pianista è un film che merita di essere rivisto e che dimostra, se ce ne fosse stato bisogno, l’elevata qualità creativa di cui godeva Truffaut negli anni Sessanta. Una qualità davvero sopraffina e da pochi altri toccata!

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