“I racconti della luna pallida d’agosto” (1953) è considerato il capolavoro del maestro giapponese Kenji Mizoguchi, colui che insieme ad Akira Kurosawa e Jasujiro Ozu ha reso celebre il cinema giapponese del Dopoguerra. Il film appartiene al genere jidaigeki (i film storici in costume che si contrappongono ai gendaigeki, film d’attualità).
Alla fine del XVI secolo in Giappone impazza una guerra civile che costringe il vasaio Genjuro a fuggire con la propria famiglia e l’aiutante Tobei verso posti più sicuri e nuovi mercati. Grazie alla loro ottima abilità artigianale, riescono a vendere con successo i loro prodotti, ma Tobei insegue il vano sogno di diventare samurai, mentre Genjuro viene ammaliato da una principessa locale (che poi si rivelerà un fantasma, una visione quindi) lasciando così la famiglia (la fedele moglie e il figlio).
All’interno della pellicola s’intrecciano e si sviluppano svariate tematiche, tutte sapientemente orchestrate dalla grande mano di Mizoguchi. In primo luogo viene trattato un certo tipo di rapporto tra Uomo e Donna. La famiglia, infatti, pende dalla parte dell’uomo che si sente libero di inseguire le sue ambizioni anche a costo di mettere in pericolo la propria compagna: sia Tobei che Genjuro, infatti, inseguiranno i propri desideri di onore e ricchezza tralasciando le rispettive moglie. Tobei recupererà la sua solo dopo averla costretta a prostituirsi, mentre Genjuro, dopo averla tradita, penserà di averla ritrovata e di poterla quindi riabbracciare salvo poi scoprire che è stata uccisa.

Il rapporto delineato tra Uomo e Donna, quindi, è nettamente sproporzionato ai danni della parte femminile che si vede spesso sottomessa alle volontà (spesso egoistiche e inutili) della controparte maschile. In questo delineamento dei rapporti di forza c’è una chiara condanna della cultura patriarcale da parte del regista giapponese.
Un rapporto che, nella vicenda di Genjuro, viene delineato anche tramite la figura del fantasma. Genjiro ne incontrerà due: quello della principessa che lo adesca (simbolo della sua brama di ricchezza) e quello della moglie quando rientra a casa dopo aver compreso di aver commesso una vigliaccheria ad averla abbandonata insieme al figlio. Attraverso lo spirito della moglie, Genjiro sa di essere stato perdonato, ma non potrà più riabbracciare l’amata: e come un fantasma lo ha ingannato, così un fantasma gli ricorda quello che ha perso.
Attraverso la metafora del fantasma, tra le altre cose, si sviluppa anche un altro dei tipici tratti della poetica di Mizoguchi: ovvero la compresenza inscindibile e ineludibile di oggettività e soggettività. I fantasmi sono solamente nella mente di Genjiro, ma sono talmente reali (nella sua mente) da modificare la sua realtà e quindi anche quella dello spettatore creando un limite tra le due dimensione mai troppo chiaro.
Infine, il terzo tema che si può riscontrare è quello legato al rapporto tra l’artigiano e il proprio pezzo d’Arte. Soprattutto nei dialoghi che Genjiro intrattiene con la principessa fantasma emerge questo tipo di rapporto fra l’artista e l’oggetto che ha prodotto con cui si sente fortemente legato e attraverso il quale cerca di suscitare un’emozione o sentimento nel possibile acquirente. In questo sentimento c’è tutto il significato dell’Arte: un prodotto artigianale, frutto dell’ingegno e del talento dell’uomo, che possa suggestionare ed essere riconosciuto come fortemente simbolico ed evocativo da parte di chi ne viene a contatto.
Questi tre filoni sono amalgamati dallo stile registico di Mizoguchi, uno stile che la critica ha definito “pittorico“, in contrapposizione anche a quello “analitico” di Ozu. Mizoguchi, infatti, ama creare con la macchina da presa dei veri e propri quadri in cui dominano la profondità di campo insieme a un complesso montaggio interno. Non c’è come in Ozu una frammentazione della scena, bensì una visione d’insieme che unisce elementi cinematografici classici ad altri nettamente più moderni.
A proposito, molto interessante è l’uso che Mizoguchi fa dei piani sequenza. In particolare in questa pellicola sono celebri quello utilizzato per la morte della moglie del vasaio e quello del ritorno a casa di Genjiro. Classico e moderno sono quindi uniti nel creare una rappresentazione fortemente pittorica e ricercata dal punto di vista dell’immagine.
Tutti questi elementi insieme fanno di questo film uno dei pilastri della cinematografia mondiale. Per la capacità di trattare e unire magistralmente le tematiche affrontate e per la densità di soluzione tecniche adottate.
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