Jean-Luc Godard

La versione di Jean-Luc: appunti sull’ultimo Godard

I titoli degli ultimi due film di Jean-Luc Godard sono eloquenti a sufficienza per comprenderne lo spirito: Adieu au langage (2014) e Le livre d’image (2018). Entrambi presentati al Festival di Cannes,
entrambi accolti con freddezza dal pubblico, ma mediamente apprezzati dalla critica.

I due titoli alludono piuttosto esplicitamente a una poetica che in Godard ha cominciato ad affermarsi diversi decenni addietro, da film come La Chinoise (1967) e Week End (1967), quando cioè l’immagine ha cominciato a prendere il sopravvento sulla storia nell’importanza del messaggio da trasmettere.
Insomma, da quando la modalità visiva per esprimere un certo concetto – sempre forte in Godard – ha cominciato a essere più importante della struttura narrativa utile all’espressione del concetto stesso.

La tendenza, nel corso del tempo, si è radicalizzata, giungendo al suo culmine negli anni che videro Godard coinvolto nei progetti del gruppo Dziga Vertov (1969-1973). Ma gli ultimi due film realizzati
dal cineasta franco-svizzero portano agli estremi questa poetica, lasciando che la trama – sebbene spesso rivendicata – si perda del tutto in una babele linguistica e immaginifica che non lascia spazio
alla costruzione razionale di una storia – ma che non rinuncia comunque a fare i conti con la Storia.

Adieu au langage Godard
La locandina inglese di “Adieu au langage”

Nel 2014, Adieu au langage venne interpretato come un addio al cinema. Non fu così – e Godard fu subito chiaro al riguardo: si trattava di un addio al linguaggio come strumento puramente
comunicativo, uno sguardo alla dissoluzione dello stesso, applicando il concetto a una trama più ricostruita che reale (la crisi e la separazione di una coppia).

Le livre d’image è qualcosa di più
radicale – se possibile. Sullo schermo scorrono immagini rubate (ma modificate) da alcuni film decisivi nella storia del cinema – si va dal surrealismo di Un chien andalou (1929) alla commedia di Duck Soup (1933) passando per Welles, Fellini, Vigo, Dreyer, Rossellini, Mizoguchi, etc. – mentre la voce fuori campo riflette sulle possibilità che ha avuto il cinema di reagire alla storia, di introiettarne le tensioni e i conflitti e di proporre soluzioni possibili ai problemi da essa posti.

Livre d'Image Godard
Una scena tratta da “Le livre d’image”

La risposta è del tutto pessimistica: il cinema ha soltanto fossilizzato, plastificato, mistificato. Ma il cinema diventa anche una zona franca tra Occidente e Oriente e, per quanto incapace di una riflessione concreta sulle cose del mondo, è un luogo di scambio (di idee, culture, opinioni) ed è, soprattutto, il
luogo in cui le immagini si creano, prendono vita, e riescono auto-sufficientemente a comunicare una
storia, già implicita al loro interno.

L’immagine, nella dimensione del libro, della raccolta, riacquista la sua piena autonomia e la sua supremazia sul linguaggio, divenendo così una lingua. «Ma la lingua non sarà mai il linguaggio», conclude Godard. E allora per quale motivo, oggi, il pubblico medio – e anche noi sedicenti intellettuali, che ne facciamo parte – detesta gli ultimi film di Godard?

In un tempo come il nostro, che si esprime più in immagini che in parole, perché non apprezzare un film come Le livre d’image?

Godard non compie, idealmente, un’operazione diversa da quella a cui ci
sottopone, quotidianamente, la pratica dei social network: un’immagine segue l’altra, senza alcuna apparente connessione, in un costante appagamento estetico che rischia di far perdere la coscienza
dell’importanza di una narrazione. Ma Godard lo fa con consapevolezza di voler trasmettere non solo un pensiero, ma un’ideologia. Godard porta avanti, anche con i suoi interventi fuoricampo, un discorso che, per quanto frammentario, è coerente e completo.

Viviamo succubi di post privi di narrazioni che cercano di venderci sempre e comunque qualcosa – l’ultimo libro di Guia Soncini, L’economia del sé (2022), è eloquente al riguardo – ma non riusciamo ad accettare che un venerando
regista utilizzi lo stesso meccanismo per provare a venderci una cosa che notoriamente non può essere acquistata: un’idea, espressa con fermezza da una voce che, nel corso dei decenni, nel giusto o nel torto, non ha mai tremato.

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