“Easy Rider” è un film del 1969 di Dennis Hopper: quello che si dice un film generazionale. La pellicola infatti è il manifesto della cosiddetta corrente cinematografica della New Hollywood.
La trama è molto semplice e scarna. Due motociclisti, Wyatt (Peter Fonda) e Billy (Dennis Hopper), girano l’America sui loro due chopper, conoscendo persone e culture diverse, lasciandosi trasportare e avvolgere dai paesaggi che attraversano e dai posti che visitano. Non c’è uno svolgimento preciso e lineare a dettare i 94 minuti, ma infatti la rivoluzione è proprio questa: raccontare una storia che non sia tale. Distruggere il forte impianto narrativo che ha caratterizzato le produzioni hollywoodiane degli anni Cinquanta e Sessanta per realizzare una pellicola che di narrativo non abbia proprio nulla.
E allora vediamo i due motociclisti muoversi tra tanti silenzi e pochissimi dialoghi; li vediamo transitare accanto a un’ America selvaggia e ancora incontaminata in cui si affastellano sequenze casuali e senza un nesso logico le une con le altre. Non a caso, la sceneggiatura che è firmata dagli stessi Fonda e Hopper, spesso è improvvisata, e di sicuro non segue mai un copione preciso e meticoloso.
In questo senso, è emblematico anche il fatto che gli attori fumino realmente sul set marijuana lasciandosi poi andare all’improvvisazione sulla scorta degli effetti provocati dall’erba. Clamorosamente impattante e psichedelica è anche la scena girata nel cimitero in cui i protagonisti, insieme a due prostitute, si drogano con la LSD (cosa che sembra sia avvenuta realmente) e danno vita a una sequenza angosciante e fastidiosa in cui si sovrappongono le paure e i lamenti dei personaggi in balia dell’effetto degli stupefacenti. Una sequenza profana e dirompente per quello che era il canone hollywoodiano.

La mano di Hopper, però, dimostra di avere una spiccata originalità anche per l’uso che fa degli stacchi tra una ripresa e l’altra: uno stacco a singhiozzo che inframmezza fotogrammi della ripresa successiva a quelli della ripresa che sta ancora terminando creando un raccordo particolare tra le due. Una soluzione che dà un senso di continuità alle scene: come se tutto fosse un flusso indistinto e costante.
In aggiunta a ciò c’è anche un uso della colonna sonora inedito per i tempi secondo l’utilizzo delle grandi hit che popolavano le radio di allora. I due brani musicali più celebri presenti nel film che accompagnano le scorribande dei protagonisti sono “Born to be Wild” degli Steppenwolf e “The Weight” di The Band.
Il film, poi, è diventato celebre anche per essere stato il lavoro che ha lanciato la carriera attoriale di Jack Nicholson. Quest’ultimo sembrava essere intenzionato a intraprendere la carriera da regista, quando quest’interpretazione gli è valsa una nomination agli Oscar e un grande successo di critica. Il personaggio che interpreta è eccentrico, scanzonato, perspicace, sconclusionato e folle. Una dimensione recitativa che sarà tipica dei suoi personaggi e che, infatti, lo ha lanciato verso i lavori successivi.
“Easy Rider” è quindi un film che coraggiosamente e nettamente rompe con la tradizione e lo fa, appunto, nel modo più drastico. Una sceneggiatura in gran parte improvvisata, la mancanza di una storia vera e propria, l’uso di droghe e sostanze stupefacenti…tutto quello che la classicità hollywoodiana deprecava. La pellicola si impone così come un grande ponte verso l’autorialità degli anni successivi segando una strada alternativa a quella che ha dominato il panorama cinematografico americano degli decenni precedenti.
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