“Il grande silenzio” (1968) è un film di uno dei grandi maestri dello spaghetti-western italiano come Sergio Corbucci. Ma è un western diverso dal solito e con peculiarità tipiche che lo contraddistinguono dagli stilemi tipici del genere.
A Snow Hill, una località del Montana, un gruppo di abitanti del luogo sono costretti a nascondersi nei boschi innevati a causa di una taglia che pende sulle loro teste: presto dovrebbe arrivare in loro soccorso un’amnistia, ma nel frattempo la cittadina si riempie di cacciatori di taglie. Questi ultimi, anche detti bounty killers, sono spietati e senza scrupoli, e fin dall’inizio vengono identificati come i “villains” della pellicola. In mezzo a questi due gruppi c’è Silenzio (Jean-Louis Trintignant), pistolere abilissimo e muto (mutilato fin da bambino), che uccide i delinquenti su pagamento e spesso si ritrova a scontrarsi con questi cacciatori di taglie.
In particolar si scontra con Tigrero (Klaus Kinski), il più spietato dei bounty killer. Si vanno a formare così due poli: quello del bene è occupato da Silenzio e dal nuovo sceriffo della cittadina, mentre quello del male è ricoperto da Tigrero con i suoi scagnozzi insieme al banchiere di Snow Hill, colui che ha messo molti dei “banditi” nella condizione di fuggire e rifugiarsi nei boschi.

Quello di Corbucci è un western diverso dal solito: innanzitutto perché immerso e avvolto dalla neve, rendendo Snow Hill una sorta di micro-cosmo completamente separato dal resto del mondo. Il bianco accecante della neve, poi, conferisce dei toni molto diversi alla classica concezione del western: un tono più cupo, glaciale e crepuscolare.
I riferimenti con la grande trilogia di Sergio Leone sono evidenti: il protagonista sembra una variazione molto vicina al tipico personaggio interpretato da Clint Eastwood, sia per le espressioni del volto sia per il fatto di parlare poco (caratteristica qui portata all’estremo). Tuttavia, sono anche tante le differenze rispetto allo stile di Leone: è vero che ci sono i famosi primi piani stretti, ma sono anche presenti in abbondanza tanti campi lunghi che fanno spesso sprofondare i personaggi in mezzo all’anonima neve dello Utah.
In più, in questo caso, è inserita anche una piccola sottotrama melodrammatica, anche se poco convintamente, quasi fosse di rincalzo. Quello che stupisce – e qui chi vuole evitare spoiler salti questo paragrafo – è il finale del film: un finale tremendo e spiazzante. Nel classico scontro finale tra Bene e Male trionfa nettamente il Male, e non lo fa nemmeno in modo eroico, ma nel modo più vigliacco possibile. Non c’è epicità nella sfida finale: Tigrero viene meno alla parola data, fa menomare il rivale da un collaboratore, prima di freddarlo senza troppi scrupoli. E la pellicola si chiude col massacro dei fuggitivi inziali, con Snow Hill che rimane abitata dai soli bounty killers che hanno la meglio su chiunque altro. Un finale senza epica e senza climax che lascia lo spettatore drasticamente sorpreso e colto di sorpresa: una scelta che distingue questo lavoro di Corbucci dalla gran parte delle pellicole appartenenti al genere.

Fra gli attori a giganteggiare è senza dubbio la presenza di Klaus Kinski. Trintignant, anche per il fatto che non parla, incide fino a un certo punto col suo personaggio, sovrastato dal personaggio diavolesco, pazzo e subdolo di Kinski. Quello sguardo che poi sarà prestato anche al remake di Nosferatu sa essere incarnazione perfetta del Male, in particolare di quella malvagità viscida e senza valori.
Tutti questi fattori fanno il fascino di un film che è pienamente dentro il canone western, ma che spicca anche per l’originalità di alcune soluzioni. Una originalità con cui Corbucci gioca fin dal titolo: Silenzio è sì il nome del protagonista, ma è anche la condizione di isolamento dal mondo in cui si svolge tutta la vicenda, avvolta dal biancore delle montagne dello Utah (delle Dolomiti, in realtà).
Quentin Tarantino per il suo “The Hateful Eight” attingerà a piene mani da questo film sia per il soggetto sia per la ripresa puntuale di alcune situazioni e scene (come quella all’interno della diligenza). E, per esempio, anche per il fatto di mostrare con primi piani ravvicinati i volti degli uccisi col sangue accanto (soluzione che, per esempio, Leone non adottava). “Il grande silenzio” è chiaramente il riferimento diretto per quello che è stato l’ottavo film del regista del Tennessee.
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