“Tutto su mia madre” (“Todo sobre mi madre“) è un film del 1999 di Pedro Almodòvar, uno dei più riusciti e premiati del regista spagnolo. Oscar, Golden Globe e Bafta per miglior film straniero; premio della messa in scena a Cannes.
Manuela (Cecilia Roth) perde il giovane figlio Esteban in un incidente (viene investito da un auto sotto la pioggia dopo che aveva rincorso un attrice al termine di uno spettacolo teatrale per un autografo). Madre e figlio erano andati a vedere “Un tram che si chiama desiderio“, riferimento che tornerà spesso all’interno della pellicola. Manuela, allora, dopo 18 anni decide di ritornare a Barcellona – città da cui era scappata una volta rimasta incinta – per cercare il padre di Esteban, che è ignaro di avere un figlio.
Nel frattempo, però, il padre è diventato donna e si chiama Lola. Manuela, intanto, a Barcellona ritrova vecchie amicizie e ne fa di nuove legandosi particolarmente alla giovane Rosa (Penelope Cruz), diventando per lei prima sorella maggiore e poi praticamente madre.

Difficile riassumere in pochi paragrafi quella che è la trama del film: Almodòvar, infatti, è bravissimo a creare un intreccio di relazioni fittissime tra i personaggi riuscendo sia a entrare nei meandri dei vari rapporti interpersonali sia nella complessità di ogni singolo personaggio.
Sono tre i temi attorno a cui ruota il regista spagnolo: quello legato alla maternità, quello di genere e l’ultimo legato al suo canone cinematografico. Quest’ultimo è il più semplice e, molto banalmente, fa del film stesso un omaggio ad altre celebri pellicole che hanno fatto la storia del cinema: “Un tram che si chiama desiderio“, “Eva contro Eva” (il cui titolo originale “All About Eve” viene richiamato nel titolo stesso spagnolo) e “La sera della prima” di Cassavetes citato nella scena iniziale dell’incidente.
Poi, come detto, c’è il tema di genere. Un tema oggi attualissimo, ma che già 20 anni fa lo era molto di meno. La fluidità di sesso tra uomini e donne viene trattata dai personaggi messi sulla scena con una inclusività totale: con quel senso di normalità delle cose che si dovrebbe (finalmente) avere verso questo tipo di dinamiche.
E allora, in questa ottica, è normalissimo che un uomo abbia un figlio, ma poi diventi donna e da donna continui ancora ad avere figli. L’umorismo di alcune scene con cui poi vengono trattate tematiche tanto delicate (e lo ripetiamo: nel 1999 era ancora più difficile farlo) rende al meglio la grande capacità di Almodòvar di parlare di queste cose e di farlo con grande efficacia. Questa sua dote di tirare fuori dell’ironia dal dramma al posto di renderlo melodrammatico è una delle sue migliori.
Poi c’è il tema della maternità che sublima in alcune sequenze che sono tenerissime e strazianti allo stesso tempo attraverso una forza emotiva clamorosamente elevata. Dietro a tutto questo, poi, ci sono tanto amore e una grande forza vitale, sentimenti incarnati benissimo da Manuela ( con grande prova attoriale di Cecilia Roth).
Non è affatto semplice unire filoni tematico-narrativi tanto diversi, complessi e delicati; eppure Almodòvar lo fa e lo fa benissimo. Con una sceneggiatura che non ha buchi narrativi e che riesce a intrattenere lo spettatore dal primo all’ultimo minuto senza incartarsi mai. E poi toccando delle vette di tensione emotiva veramente notevoli dentro le quali è facilissimo lasciarsi travolgere.
“Tutto su mia madre” è uno di quei film in cui si nota con un colpo d’occhio quanto sia importante avere una sceneggiatura solida e sapientemente scritta. Il resto poi viene da sé.
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