Le vacanze di Monsieur Hulot Tati

“Le vacanze di Monsieur Hulot”: la comicità sobria ed elegante di Jacques Tati

Ieri vi abbiamo parlato di “L’anno scorso a Marienbad“; oggi rimaniamo sempre in Francia andando indietro di qualche anno e cambiando completamente prospettiva.

Le vacanze di Monsieur Hulot” (1953) è il film che vede la prima comparsa sul grande schermo del personaggio di Monsieur Hulot, alias Jacques Tati, ovvero l’ideatore, il regista e l’interprete della pellicola.

Tati raccoglie la più nobile tradizione del filone comico incarnata al meglio da quei due maestri che sono Charlie Chaplin e Buster Keaton. Il film, infatti, s’inserisce all’interno del genere della slapstick comedy, anche se quella “violenza” che caratterizzava all’inizio questo genere ormai qui è quasi completamente sparita.

Tati, infatti, ha il merito di prendere quel tipo di comicità e attualizzarla al proprio tempo, mettendola in scena attraverso un tipo che incarna la borghesia francese dei primi anni Cinquanta.

Hulot, infatti, è un tipo tranquillo, buffo per essere impacciato nella sua immancabile gentilezza. Porta sempre un cappello in testa e una pipa in bocca camminando con un passo molleggiato, quasi appoggiando i piedi solo sulle punte. La sua è una fisicità diversa, però, da quella minuta di Chaplin e Keaton: è secco, allampanato, alto e i motivi di comicità vengono anche da questo suo essere vagamente ingombrante e sgraziato.

Non è un caso che le movenze del Mr Bean di Rowan Atkinson ricordino molto quelle di Hulot/Tati: l’ispirazione è evidente. Ma anche altri grandi di poco successivi all’uscita del film si sono ispirati a quel personaggio: Peter Sellers, per dirne uno.

Le vacanze di Monsieur Hulot Tati

Il film, quindi, segue le vicende di una piccola località balneare con un susseguirsi di gag che hanno in una comicità elegante e mai scomposta il loro tratto distintivo. A Hulot non si può volere male: è troppo gentile e affabile per risultare anche solo fastidioso. E quel suo borbottare sconnesso non può non ricordare anche le interpretazioni migliori di Dario Fo.

Il film, tra l’altro, è anche molto ben scritto: non a caso è stato candidato agli Oscar per la miglior sceneggiatura nel 1956. Tati, infatti, oltre a essere un ottimo interprete, anche registicamente dimostra di avere una grande mano non creando mai passaggi scarichi e confezionando delle inquadrature molto ben pensate ed eseguite. L’attenzione per i vari quadri compositivi è notevole.

Per di più, dietro a tutto questo, c’è anche un velato messaggio sociale: una critica alla frenesia della società moderna (quanto aveva anticipato i tempi pensando alla nostra contemporaneità…) e una sorta di evasione da essa con l’intenzione di portare lo spettatore in vacanza insieme a Hulot in una località in cui tutto è lentissimo e cadenzato.

L’esordio di Monsieur Hulot, quindi, è più che vincente. Questa sarà solo la prima comparsa di questo personaggio che sarà al centro di altre pellicole successive in cui cresce notevolmente anche la struttura narrativa sottesa al film venendo così a creare dei piccoli capolavori come “Mio zio” (1958) e “Playtime” (1967) di cui, in futuro, avremo il piacere di parlarvi.

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