“L’anno scorso a Marienbad” (“L’Année dernière à Marienbad“) è un film del 1961 di Alain Resnais che ha segnato un decennio, ma anche la storia del cinema per l’originalità dei suoi esiti e delle sue scelte registiche.
Il film mostra una rappresentazione teatrale in un sontuoso palazzo (barocco e lugubre, lo definisce ripetutamente la voce narrante fino alla sfinimento) dove un uomo (Giorgio Albertazzi) si rivolge continuamente a una donna insistendo di essere stato l’anno passato il suo amante a Marienbad, mentre lei non ricorda l’avvenuto, o forse finge di non ricordarlo.
Tutta la pellicola si svolge attorno a questo motivo attraverso dialoghi ricorsivi e ripetuti, e scene riproposte in successione in un contesto che si muove costantemente dal grottesco all’onirico.
L’uomo tenta senza sosta e con sempre più foga di riportare alla mente della donna la loro storia d’amore con la promessa di lei di rivedersi l’anno successivo per poi scappare insieme. L’uomo però, a cause dell’insistente schernirsi della donna, diventa sempre meno lucido fintanto che anche lui inizia a perdere il filo dei suoi ragionamenti e dei suoi racconti.
Tutto il film gira attorno ai suoi tentativi di riportare quell’evento alla memoria di lei tramite l’inserimento di continui flashback che sono introdotti o dal personaggio stesso o dalla voce narrante fuori campo dell’uomo che accompagna lo spettatore per tutti i 94 minuti.

A un certo punto sembra che la donna faccia soltanto finta di non ricordarsi e che in realtà sia soltanto estremamente combattuta tra l’amante e il marito (anche lui presente alla festa). Tuttavia questo dubbio legato al personaggio femminile s’innesta alla progressiva perdita di lucidità dell’uomo creando così un clima sempre più onirico e instabile dove non si riesce più a capire cosa sia finzione e cosa realtà.
Alla fine lo spettatore mette in discussione anche il fatto che i due si siano visti l’anno precedente a Marienbad, ipotizzando che tutto il film non sia altro che l’ossessione di un uomo ormai sradicato dalla realtà.
Il film in questione non è certo una visione semplice e leggera, anzi è di rara pesantezza. Perdersi tra le ripetizioni infinite della voce narrante e i silenzi protratti in cui irrompe una musica dai toni inquietanti può essere molto semplice e può condurre in un vortice che risucchia anche lo spettatore oltre che i personaggi stessi.
E allora non si può fare altro che perdersi tra le sequoie del giardino della villa e i suoi infiniti corridoi ammettendo l’impossibilità di trovare un senso alla vicenda (e alla storia stessa) e il fatto che la realtà spesso possa essere qualcosa di troppo soggettivo per essere effettivamente “reale”.
L’eccezionalità di Resnais anche in un contesto già originalissimo come quello della nouvelle vague è auto-evidente in questo lavoro: non a caso viene posto tra i cineasti della cosiddetta “rive gauche” insieme ad Agnes Varda.
Un’atipicità che poi è altamente accresciuta dal momento che la sceneggiatura è affidata a un visionario come Alain Robbe-Grillet. Il risultato, quindi, è qualcosa di estremamente originale, ma anche complesso: una sfida forse anche troppo ardita verso lo spettatore. Di particolare bellezza, però, sono il montaggio che gioca con i flashback e l’intensa fotografia.
Anche la critica in merito è stata particolarmente contraddittoria: una parte entusiasta (Leone d’Oro a Venezia e candidato all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale) e l’altra molto più sconcertata dall’infrazione totale del realismo in qualcosa che sembra diventare un esercizio di stile.
Tutto questo è “L’anno scorso a Marienbad“, un film che comunque s’inserisce di diritto nella storia del cinema.
In ultimo, una delle cose più intriganti della visione: l’ormai famoso gioco dei fiammiferi. Chi non lo ha provato a casa con genitori e amici, sbeffeggiandosi di loro, semplicemente mente.
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