“The Last Waltz” (1978) è uno dei cosiddetti lavori minori di Martin Scorsese, un documentario musicale per la precisione. Ma è difficile per un cineasta completo e totale come Scorsese parlare di lavori minori.
Quello del documentario musicale (oltre al documentario in senso lato) è un genere da sempre esplorato dal regista newyorchese. Ha partecipato al montaggio del celebre lavoro realizzato su Woodstock, poi – oltre al suddetto – ne ha realizzati di propri parlando di Bob Dylan, Rolling Stones e George Harrison, per citarne qualcuno.
“The Last Waltz” è stato un film pensato per riprendere l’ultimo concerto di The Band e per rendere omaggio quindi a uno dei gruppi musicali più importanti in America negli anni Sessanta e Settanta. The Band è meno conosciuta, purtroppo, nel nostro Paese, ma negli States ha avuto una risonanza notevole per quanto riguarda il rock&roll, quel genere dove s’incontrano country, blues e bluegrass creando qualcosa di unico.

The Band, così, nel 1976 decide di chiudere una carriera durata 16 anni con un ultimo iconico concerto al Winterland Ballroom di San Francisco dove fecero già il loro primo concerto. E per celebrare l’addio di una band davvero storica non mancano amici e colleghi illustri, anzi illustrissimi: Bob Dylan, Neil Young, Eric Clapton, Muddy Waters, Van Morrison, Joni Mitchell e così via. Insomma, un grandissimo concentrato di rock.
Per realizzare questo lavoro viene scelto un giovane regista che aveva impressionato tutti con “Mean Streets” e che sembra avere la passione e il talento giusti per realizzare questo lavoro. E, in effetti, Scorsese fa un grande lavoro e realizza un film-documentario dall’altissima godibilità e dalla qualità sopraffina.
La scelta registica è la seguente: mostrare tutto il concerto inserendo dei piccoli stralci di interviste “dietro le quinte” della band tra una canzone e l’altra per fermare momentaneamente il flusso della musica e poi farlo riesplodere. Tutti gli occhi delle cineprese, poi, sono sul palco: lo sguardo non è mai rivolto sul pubblico. In questo modo per chi rivede il film a distanza di tanti anni sembra davvero di far parte di quel pubblico presente sotto il palco.

E’ altissima poi la qualità delle riprese con una fotografia magnifica che insiste su dei toni caldi che vanno dal giallo ocra e dal marrone fino al rosso vino. Una ricerca dell’immagine veramente alta che conferisce al concerto una bellezza ulteriore: questo grazie oltre a Scorsese anche al diretto della fotografia Michael Chapman e allo scenografo Bob Leven.
Quello che rimane, oltre alla stupefacente qualità musicale (che chi è appassionato del genere apprezzerà ancora di più), è anche la riflessione che sta sotto alla decisione di The Band di lasciare le scene. Ovvero una necessità di staccare con la vita legata alla tournée: una vita ricchissima, ma profondamente sfibrante e logorante.
In questo senso sono molto significative le parole del leader Robbie Robertson alla fine del film. Hanno smesso per la paura di essere fagocitati e risucchiati da uno stile di vita che aveva già mietuto diverse vittime. Quella di The Band, quindi, è una scelta anche molto comprensibile e umana: infatti, dietro a queste grandi figure del rock, quello che emerge, è l’umanità di dire “basta, abbiamo dato quello che potevamo”.
Scorsese, ancora una volta, riesce a catturare tutto questo molto bene con – lo ripetiamo, perché ne vale la pena – una qualità di immagini e suono più che notevole.
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