“Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” (2014) è un film di Roy Andersson che ha vinto il Leone d’oro della 71esima edizione del Festival del cinema di Venezia.
Il titolo di questa pellicola racconta già molto di quanto il cinema di Andersson sia singolare e difficilmente approcciabile per qualcuno che non sia veramente un cinefilo.
Parlare della trama è alquanto complesso, anche perché effettivamente non c’è una trama vera e propria. Il nucleo tematico – si fa per dire – attorno a cui gira il film è la storia di due venditori ambulanti i cui prodotti sono denti finti da vampiro, sacchetti che emettono risate e maschere da anziano.
I ritmi del film sono estremamente lenti, anzi, spesso sono proprio statici: Andersson, infatti, non ha problemi a mostrare la stessa inquadratura ferma anche per diversi minuti mettendo sullo schermo semplici e inutili gesti come portarsi un bicchiere alla bocca o come la normale routine di una tavola calda.
Può dare una precisa indicazione sulla lentezza del film il fatto che i 101 minuti di visione sono riempiti solamente da 39 inquadrature!

Ogni tipo di inquadratura è molto curata (ovviamente) per quanto riguarda sia il taglio in sé della ripresa che la scenografia circostante. Spesso la cura delle scelte riguardo a queste parti ricorda il cinema di Wes Anderson, i cui ritmi narrativi però sono opposti.
Della trama scarna e quasi assente si è già parlato: in questo contesto si muovono i personaggi all’interno di silenzi lunghissimi e pochissime parole a volte anche illogiche.
Sottotraccia è costantemente presente uno humour sottile che investe tutti i personaggi che vengono mostrati per la loro stravaganza e per l’essere, in sostanza, delle figure ai margini della società con innumerevoli fragilità anche nella normale interazione sociale.
Quello che resta è quindi un’atmosfera di estrema malinconia che porta lo spettatore a provare anche un forte senso di compassione verso dei personaggi che sono alquanto grotteschi e caricaturali. E, forse, attraverso questo passaggio si può tornare proprio al senso del titolo: come un piccione su un ramo il pubblico osserva tutti i minimi svolgimenti della vita quotidiana con uno sguardo freddo e disilluso che mette a nudo ogni tipo di fragilità.
Sicuramente non è un film di immediata o semplice visione, ma qualche riflessione interessante la può scatenare (se si sopravvive all’estrema lentezza dei tempi narrativi). Sicuramente fa riflettere il fatto che questo film abbia vinto il Leone d’oro ai danni di un film come “Birdman” di Inarritu.
Ecco, per chi scrive, tra i due film c’è un abisso. E il film che tra i due sta sopra non è quello di cui si è parlato.
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